La Stampa, 19 marzo 2015
Strage al museo di Tunisi. Gli islamisti attaccano i turisti, uccisi anche quattro italiani. Il commando ha cercato di colpire prima il Parlamento, poi ha assaltato un pullman e preso in ostaggio decine di stranieri: 24 morti, compresi due killer
L’assalto al cuore della Tunisia inizia a mezzogiorno. Cinque giovanissimi in abiti militari tentano l’irruzione nel Parlamento in cui, alla presenza dei vertici dell’esercito e del ministro della giustizia, si sta discutendo la nuova legge anti terrorismo. I kalashnikov a tracolla li tradiscono.
Le forze di sicurezza cominciano a sparare e il commando ripiega sul Museo del Bardo, lo scrigno che custodisce gli antichi mosaici delle ville romane in Africa. In quello stesso momento alcuni pullman attraversano l’antico cancello dell’ex residenza dei bey husseiniti per portare i turisti sbarcati in mattinata a La Goulette a visitare il vanto nazionale, seconda tappa cittadina dopo un giro al suq della medina. È subito trincea, racconta uno degli autisti: «Me ne sono trovato davanti uno che non riusciva nemmeno a infilare il caricatore, da principio pensavo che stesse giocando, poi sono iniziate le mitragliate». Il bilancio è da guerra: Alla fine resteranno in terra 22 vittime di cui 17 stranieri, 4 italiani, due francesi, un polacco, degli spagnoli, forse dei giapponesi. Il Charles Nicolle e altri due ospedali sono pieni di feriti.
È un film brevissimo ma eterno quello di ieri mattina. I killer uccidono a freddo le prime persone che si trovano di fronte, chi può scappa verso il museo o gli uffici dell’Assemblea Nazionale. Mentre il governo centrale manda i rinforzi, gli assassini si fanno scudo di una ventina di ostaggi e sparando a raffica verso le vetture ormai dai vetri in frantumi si asserragliano nelle stanze che custodiscono le meraviglie del II, III e IV secolo. Dentro, nel panico, ci sono almeno 200 persone, tra cui molti tunisini in vacanza per la festa nazionale. Fuori la polvere della strada è impastata di sangue, fra gli italiani colpiti ci sono Francesca Caldara, Orazio Conte, Giuseppina Biella.
«Sentivamo urlare e sparare ma non si vedeva niente, da qui non è scappato nessuno, si sono rifugiati tutti dentro, i terroristi, gli ostaggi e quelli in fuga» racconta malvolentieri un fattorino del dirimpettaio Supermarket Le Museé. Pochi nel quartiere Bardo, periferia a ovest di Tunisi, hanno voglia di parlare, il terrore è piombato a freddo sul piccolo Paese fiero d’aver tenuto finora alto l’onore delle primavere arabe.
Alle 14 scatta il blitz, il Parlamento è blindato. Tempo un’ora e il Paese respira. Gli ostaggi vivi escono piano. Due terroristi sono stati ammazzati. Secondo la Cnn altri tre sarebbero riusciti a dileguarsi. C’è odore di paura, ce n’è ancora dopo ore. Il presidente Essebsi parla alla nazione, giura che il Paese vincerà e incassa immediatamente il sostegno del presidente egiziano el Sisi.
In piazza contro il terrore
In avenue Bourghiba si radunano i tunisini che provano a stare uniti, a dimenticare le loro divisioni. A La Goulette, sulle navi come la Costa Fascinosa, tornano i sopravvissuti ma mancano all’appello 13 persone, alcuni sono feriti, altri irrintracciabili. La giornata era cominciata all’insegna dello shopping e di una full immersion nel museo che nel 2014 è stato visitato da 252 mila italiani. La notte è gelida nonostante la dolcezza del clima.
«È il nostro 11 settembre, dobbiamo reagire insieme o siamo perduti» ragiona Osama al Saghir, deputato di Ennahda, i Fratelli Musulmani tunisini, durante la manifestazione contro il terrorismo organizzata nella strada simbolo della rivoluzione di 4 anni fa. Il tam tam è stato a 360° ma la rappresentanza di Ennahda, che partecipa al governo di unità nazionale guidato dal partito laico Nidaa Tounes, è massiccia: sulle scale del teatro diventato dopo il 2011 palcoscenico politico ci sono molti religiosi e donne velate, intonano slogan tipo «la gente vuole uccidere il terrorismo» e ogni tanto pregano. Poco distante la coreografa Sondos Belhazzen si definisce «illuminista» e ammette: «Sono venuta per lo stesso motivo “loro” anche se “loro” sono sempre i più veloci a mobilitarsi, ma non sono come “loro”. Non riusciamo a mescolarci neppure in una circostanza del genere e ora sento che il Paese è fragilissimo». Con Ennahda, contro Ennahda, laici, religiosi, il fuoco cova sotto la cenere.
Società divisa
La società tunisina resta divisa e i terroristi lo sanno. Quelli di ieri, i due uccisi e i tre in fuga, erano ragazzini. «Non è chiaro se volessero attaccare il Parlamento dove si stava discutendo la nuova legge contro il terrorismo e abbiano poi ripiegato sul museo o se il museo fosse un target in sè in quanto il turismo è l’anima del Paese» dice una fonte della sicurezza. Di certo, aggiunge, hanno alzato il tiro: «Finora si erano limitati a restare sulle montagne al confine con l’Algeria, adesso sono scesi in città». E in città ci sono il fronte laico e quello religioso che sebbene siano riusciti a evitare la guerra civile modello egiziano, sfiorata nel 2013 dopo gli omicidi dei deputati di sinistra Belaid e Brahmi, faticano a trovare la quadratura del cerchio.
Ripresa a rischio
La sicurezza è il tallone d’Achille della Tunisia, ammette un simpatizzante di Ennahda che dice di aver conosciuto il carcere e di sapere di cosa parla. Il blitz delle forze di sicurezza contro cellule jihadiste si ripetono da mesi soprattutto al confine con l’Algeria e con la Libia, in uno degli ultimi è stato ucciso il super ricercato Boubakr Hakim. Oggi però non c’è molto da congratularsi. «Siamo rimasti qui anche dopo la rivoluzione, ma abbiamo bisogno di stabilità, senza sicurezza il business non riparte», conviene un imprenditore italiano del settore edile. Giura che ai connazionali ripete di venire in Tunisia, di non aver paura, ma adesso sarà dura.
Davanti al museo del Bardo il vento solleva le cartacce che sbattono contro il sinuoso cancello chiuso. È tardi, si vedono le luci del Parlamento ancora accese per la seduta eccezionale. C’è polizia. Non tantissima. Mormora chi abita qui intorno che davanti all’ingresso di un luogo così frequentato dai turisti non c’è mai sicurezza, non ce n’era probabilmente neppure ieri mattina quando sono passati i killer e poi le loro vittime.