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 2015  marzo 18 Mercoledì calendario

«Il capo dell’Associazione magistrati ci costringe a dar ragione a Renzi, e non glielo perdoneremo», scrive Filippo Facci, secondo cui Sabelli dovrebbe spiegare perché in alcune città le inchieste fioccano mentre in altre le Procure sono inattive nonostante le denunce del malaffare

Il capo dell’Associazione magistrati ci costringe a dar ragione a Renzi, e non glielo perdoneremo. C’è la nuova inchiesta fiorentina sulle grandi opere e il presidente dell’Anm Rodolfo Sabelli, ieri mattina, ha detto che «i magistrati sono stati virtualmente schiaffeggiati e i corrotti accarezzati», mentre «uno Stato che funzioni dovrebbe prendere a schiaffi i corrotti e accarezzare chi esercita il controllo di legalità». Dopodiché, al solito, ha invocato nuove leggi e la cancellazione di altre: come se il problema fosse legislativo punto e basta.
Niente di strano, da una parte: è da una ventina d’anni che l’Anm non accetta critiche e vorrebbe dettare l’agenda politica. Ma colpisce questo: che anzitutto Sabelli citi «lo Stato» come se la magistratura non ne facesse parte, come se la magistratura, cioè, facesse parte solo della soluzione e non anche del problema, del Paese, talvolta persino della corruzione. Si continua a ragionare come se la corruzione abbondasse dove fioccano le inchieste che la scoprono (a Milano, per esempio) e mancasse nei distretti giudiziari dove la pace regna sovrana. E dire che il Fatto Quotidiano, proprio ieri, ha pubblicato un articolo di Ferruccio Sansa in cui si spiega che a Genova stanno scoperchiando tutte le inerzie della magistratura perpetrate per anni: ma su questo l’Anm non ha detto una parola. Ed è pur vero che negli ultimi decenni la maggior parte delle condanne per corruzione sono intervenute a Milano, Torino, Napoli e – molto distanziata – Roma, mentre altrove c’è il nulla giudiziario a dispetto di denunce circostanziate e precise.
Renzi, a fronte delle uscite di Sabelli, si è limitato a uscite più generiche («frasi false e tristi») e a rivendicare quello che sta facendo e ha fatto in tema di corruzione: ma proprio questo è il punto, il pensare che la lotta alla corruzione sia sempre una questione di nuove leggi da fare, vecchie leggi da disfare, leggi Severino da rivedere, prescrizioni da allungare, falso in bilancio da ripristinare, ora addirittura «estendere alla corruzione quello che è già previsto in materia di mafia». Mancava.
Da quanto prosegue questa pantomima? Le inchieste sulla corruzione si sono sempre fatte: l’unico vero blocco, alla fine degli anni Ottanta, poteva venire dal Parlamento e dalle mancate autorizzazioni a procedere: ma non ci sono più. La più grande inchiesta sulla corruzione, Mani pulite, è stata fatta senza il comodo strumento delle intercettazioni alle quali tante procure ora delegano le indagini tradizionali. Un problema di Mani pulite fu che i concussi facevano la fila per dirsi vittime dei politici: ragione per cui si parlò di «dazione ambientale» e non a caso il celebre Pool dei magistrati propose di unificare la figura del concusso e del concussore: è ciò che ha fatto la Legge Severino, ma ecco, ora non va più bene neanche quello, perché dicono che la gente si astiene dal denunciare. E allora bisogna intervenire, fare una nuova legge, certo: altrimenti significa che i magistrati vengono presi a schiaffi.
L’anti-corruzione capeggiata da Raffaele Cantone (Anac) dicono che non basta. Il governo quindi vuole mettere mano al reato di falso in bilancio e soprattutto alla prescrizione, tra l’altro apportando – nostro parere – seri danni a quella stessa giustizia che si vorrebbe risanare: ma non basta neanche questo, le polemiche dell’Anm ormai sono quotidiane. L’inchiesta di Venezia sul Mose è stata condotta senza fughe di notizie e senza eccessi di alcun genere, forse è stata l’inchiesta sulla corruzione più esemplare degli ultimi anni: e l’hanno fatta con gli strumenti che avevano.
Sabelli continua ad associare corruzione e prescrizione come se fosse un’emergenza nazionale, ma sa benissimo che i processi vanno in prescrizione per i tre quarti durante le indagini preliminari, ossia dipendono dalla gestione dei magistrati. Sa benissimo che il numero di prescrizioni, dopo l’approvazione della demonizzata ex-Cirielli del 2005, in realtà si è dimezzato. Sabelli sa pure che la corruzione si prescrive il 10 per cento delle volte e non di più, diversamente da altri reati che si prescrivono oltre la metà delle volte. Ma agitare lo spauracchio della lotta alla corruzione torna politicamente utile sia al governo Renzi sia all’Associazione nazionale magistrati, come se fosse uno scettro da contendersi. Politicamente utile, appunto: l’impressione è che la giustizia c’entri poco.