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 2015  marzo 18 Mercoledì calendario

Gli Stati Uniti hanno reagito male alla partecipazione di alcuni Paesi europei, fra cui l’Italia, all’Asian Infrastructure Investment Bank, lanciata dalla Cina nel 2013. Lecito, ma contraddittorio. Ecco perché

Gli Stati Uniti hanno reagito male alla partecipazione di alcuni Paesi europei, fra cui l’Italia, all’Asian Infrastructure Investment Bank, lanciata dalla Cina nel 2013. Lecito, ma contraddittorio: l’America è l’ultimo Paese a poter protestare contro un’iniziativa per lo sviluppo che attaccherebbe la credibilità del sistema economico multilaterale quando lei stessa non ratifica l’aumento delle quote del Fondo monetario internazionale e da sola paralizza il progetto di riforma delle allocazioni del capitale. La cosa è grave, certo, sappiamo che il problema non è Obama ma il Parlamento controllato dai repubblicani. E sappiamo che proprio ieri il Tesoro ha implorato il Congresso di andare avanti.
Nel frattempo però non possiamo stupirci se, come è successo ieri, ci sono poi reazioni irritate del direttore del Fondo Monetario Christine Lagarde, la quale ha minacciato di trovare “soluzioni alternative” per sbloccare la situazione. O se Francia Germania Gran Bretagna ed Italia aderiscono all’iniziativa di Pechino che potrà aiutare le esportazioni europee.
C’è chi spiega questa resistenza americana alla Banca cinese con ragioni politiche e con il confronto fra Washington e Pechino. Si dice ad esempio che Usa hanno un potere di nomina per la presidenza della Banca Mondiale, la principale banca per lo sviluppo a livello globale, una istituzione che fa parte con l’Fmi del sistema economico e finanziario multilaterale e vede nel tentativo cinese un’operazione per scardinare un sistema nel quale gli europei hanno forti interessi. Ma la situazione è ancora più complessa e riguarda un intricato groviglio di accordi potenziali sul piano commerciale che riguardano l’Asia: l’America vorrebbe chiudere il Tpp un accordo commerciale per creare un’area di libero scambio nel Pacifico. La Cina è per ora esclusa. Sulla carta Pechino è contraria al progetto e ha avviato a sua volta negoziati per accordi regionali minori ai quali si oppongono gli Stati Uniti. Ma da quello che abbiamo visto e sentito durante il viaggio di Obama al vertice Apec del novembre scorso, la Cina potrebbe entrare nel Tpp solo se facesse riforme del mercato del lavoro, osservasse certi standard minimi ambientali e seguisse alcuni parametri per evitare la concorrenza sleale. Ma la Cina di fatto dice di non essere pronta. Ma nel frattempo decide di andare avanti per conto suo su altri progetti ad esempio questo per la creazione di una banca per lo sviluppo infrastrutturale in Asia. C’è davvero concorrenza? Non sembra, anche perché gli ammontari in dotazione della Banca sponsorizzata dalla Cina sono minimi rispetto a quelli disponibili della Banca Mondiale: la nuova banca avrà una dotazione di 100 miliardi di dollari, la Banca Mondiale ha disponibilità di erogazione fino a 358 miliardi di dollari. Eppure il segretario al Tesoro Jack Lew si è sentito in dovere di mettere i puntini sulle i chiarendo che un avvertimento non significa veto: «Chiunque aderisca alla nuova Asian Infracture Investment Bank dovrebbe prima accertarsi che vengano adottati standard rigidi – ha detto – si devono proteggere i lavoratori, l’ambiente si deve esser certi che non vi sia corruzione, altrimenti il rischio è di avallare un sistema che parte marcio». Guarda caso le obiezioni che riguardano certe leggerezze imputate alla nuova banca cinese coincidono che le stesse obiezioni che riguardano l’impostazione del negoziato americano per il libero scambio nel mercato asiatico. Non stiamo a dire qui che l’America abbia torto e che si dovrebbero ignorare i rischi impliciti in un aggressivo sviluppo al di fuori del sistema multilaterale, ma se poi l’America a sua volta paralizza il sistema multilaterale che nei fatti guida, non c’è da stupirsi se altri, come la Cina possano decidere per muoversi per conto loro. Né possiamo stupirci se paesi europei che si sentono indietro nel mercato asiatico rispetto all’America, potenza del Pacifico, e che sono esclusi dall’Apec possano cercare di costruire un loro ponte con Pechino per poter contribuire a crescita e sviluppo. Ma la reazione che più interessa è quella dell’Fmi/Banca Mondiale, che abbiamo avuto ieri puntuale: «Il Fondo monetario internazionale dà il benvenuto a tutte le iniziative che puntano a rafforzare la rete di istituzioni multilaterari che erogano prestiti e che aumentano i finanziamenti disponibili per infrastrutture e sviluppo, inclusa la neo-nata Asian Infrastructure Investment Bank» (Aiib).