La Stampa, 18 marzo 2015
Se gli inglesi non sanno più fare il tè
Anche la Gran Bretagna non è più quella di una volta, e la conferma definitiva arriva da una delle sue più prestigiose istituzioni, l’University College di Londra. Dopo laboriose ricerche, i suoi studiosi sono giunti alla conclusione che gli inglesi non sanno più fare il tè. Può sembrare strano che l’università che vanta 21 premi Nobel si occupi di argomenti apparentemente così frivoli, ma il tè nel Regno Unito è un fenomeno sociale: se ne bevono ancora 165 milioni di tazze al giorno. L’University College ha preso in esame ogni aspetto del complesso rito del tè, osservando che quasi nessuno lo rispetta più. La gran parte delle tazze è preparata usando le comode bustine in commercio. Quella che era una entusiasmante e corroborante esplosione di profumi e di aromi si è ridotta a una banale, insipida bevanda calda come tante: il tè inglese sta perdendo l’anima, la ragione stessa per cui in suo nome si è tanto combattuto, si sono conquistate terre e rese sicure le rotte marittime.
La tradizione
La prima cosa che hanno notato all’Ucl è che, a causa della fretta e di una colpevole ignoranza, oggi si lascia il tè in infusione mediamente per 2 minuti, mentre ce ne vogliono quasi 6 perché l’acqua calda agisca come una corrente, aprendo le foglie ed estraendone i 30.000 differenti componenti chimici che vi sono contenuti. Chi prepara un tè non sa nulla di moti convettivi e convenzioni termiche, ma quello che accade in una teiera ha molto a che fare con la chimica e la fisica. Ecco perché, ad esempio, l’acqua bollente che si usa dovrebbe sempre essere fresca e non riscaldata dalla sera prima. L’acqua fatta bollire più volte perde progressivamente ossigeno, e muore.
Bisognerebbe poi sempre usare una teiera e non preparare la bevanda nella tazza, tè di buona qualità e non miscele economiche, foglie secche libere e non bustine preconfezionate. La temperatura più adatta è di 65 gradi centigradi, ma riscaldarlo se si fredda è cosa da trogloditi. Il professor Mark Miodownick è inorridito quando i dati della ricerca sono apparsi in tutta la loro sconvolgente evidenza. «Se penso – ha detto – a quanta gente lavora per creare questa complessa e meravigliosa bevanda, non posso credere che molte persone buttino tutto in una tazza e bevano. Se vogliono solo qualcosa di caldo, perché usare il tè?»
Le istituzioni
Se non bastasse la tradizione, gli inglesi non hanno davvero scuse per giustificare l’incapacità di preparare un tè come si deve. In Gran Bretagna c’è un’associazione per ogni cosa, e quindi esiste anche la Tea and Infusion Association, che raccomanda di prolungare l’infusione per almeno 4 minuti. C’è persino la British Standards Institution, un incredibile organismo che fornisce gli standard britannici di tutto. Quelli del tè sono catalogati alla voce BS6008 e comprendono anche le forme delle teiere (paragrafo 5.1 e 5.2) e la scelta tra il servirlo con il latte (paragrafo 7.2.1) o senza (7.2.2).
Da più di mezzo secolo, i consigli migliori e definitivi sono tuttavia considerati quelli che George Orwell diede alla fine della guerra, in un breve e memorabile saggio dal titolo A Nice Cup of Tea. Lo scrittore suggeriva di usare solo tè indiano o di Ceylon. Il tè cinese, scriveva, non ti fa sentire più saggio, coraggioso e ottimista dopo che l’hai bevuto. Il tè va preparato solo nella teiera, che deve essere di ceramica o terracotta: quelle d’argento distruggono il sapore e quelle smaltate sono anche peggio. La teiera va riscaldata prima di versarvi gli ingredienti. L’acqua deve essere bollente, fare cioè proprio le bolle. Le foglie vanno lasciate libere, non imprigionate in sacchetti o filtri. Prima di servire, la teiera va agitata, non mescolata. Il tè deve essere forte: meglio una sola tazza come si deve che venti tazze annacquate. La tazza deve essere cilindrica e non piatta, per non disperdere calore. Aggiungervi zucchero è stupido come aggiungervi sale o pepe. E il latte? Orwell lo versava dopo, l’University College suggerisce di metterlo prima. Ma è una questione ancora irrisolta su cui, ammettono tutti, bisognerà discutere.