La Stampa, 18 marzo 2015
Romeo e Giulietta a Kabul. Lui sciita, lei sunnita, dopo un anno in fuga finalmente vivono assieme nel loro villaggio. Ma la tragedia di Shakespeare continua, dalla Bosnia al Medio Oriente
C’è qualcosa che l’odio settario non può distruggere neppure in una regione come Bamian, mutilata dall’ottusità dei taleban che nel 2001 la privarono (e ci privarono) dei due giganteschi Buddha patrimonio Unesco. Qui, nel cuore esangue dell’Afghanistan, Zakia e Mohammed Ali difendono il loro amore «bastardo» dalle rispettive famiglie che, novelli Montecchi e Capuleti, hanno lacerato il piccolo e misero villaggio a 250 km da Kabul.
Lui, 22 anni, è sciita di etnia hazara, lei, 19 anni è sunnita di origine tajika: un’unione tabù secondo quell’impietosa legge del sangue che la vita reale smentisce di continuo. Zakia e Mohammed, ha raccontato il «New York Times», si sono visti attraverso i mille veli della società tribale, si sono innamorati e un anno fa, braccati da fratelli molto agguerriti, sono scappati sui monti. Oggi, dopo un vano pellegrinaggio tra gli uffici rifugiati di Tajikistan, Pakistan e India, hanno fatto ritorno a casa: Mohammed lavora la terra tenendo una mano sulla pistola, Zakia non mette il naso fuori, il cibo è poco e l’ostilità tanta, ma la gracile Ruqia nata durante la «fuitina» cresce portando almeno in dote la certezza che sarà lei a scegliersi il marito.
Tutti Romeo e Giulietta
Quando mesi fa l’attore siriano Nawar Bulbul decise d’iniziare al teatro i suoi piccoli connazionali del campo profughi giordano di Zaatari per curare i traumi del conflitto, la scelta cadde subito su «Romeo e Giulietta». La tragedia di Shakespeare infatti, non si presta solo a rappresentare bene la sanguinaria guerra civile in cui è annegata la rivolta contro il dittatore Assad, ma, come tutta l’opera del grande bardo, parla di noi, uomini e donne di ogni epoca, ogni religione e ogni nazionalità.
In principio fu Sarajevo
I Montecchi e i Capuleti, le due nobili famiglie veronesi nemiche al punto di rinunciare ai propri figli piuttosto che vederli insieme, incarnano un paradigma immortale. Sono loro, «mutatis mutandis», a sbarrare la strada alla bosniaca Admira Ismic e al serbo Bosko Brkic, gli innamorati simbolo della Sarajevo sotto assedio uccisi da un cecchino sul ponte di Vrbana e rimasti lì 8 giorni, cadaveri irrecuperabili sotto i tiri incrociati dei miliziani irriducibili al cessate il fuoco.
Era il 1993, si udiva ancora l’eco della presunta fine della Storia. Dieci anni dopo, ennesima fenice risorta dal ’900, la II guerra irachena avrebbe gettato le basi del nuovo proibito amore tra il tassista sunnita Hassan e la casalinga sciita Zahara che nel 2013, dopo aver attraversato insieme gli anni più bui a Baghdad (una bomba ha portato via una gamba a Zahra), si guardano ancora le spalle dai rispettivi parenti.
Dal 1200 veronese a oggi
In trincea o sotto terra, gli eredi dei tragici eroi di Shakespeare legano con un filo rosso i conflitti etnico-settari contemporanei. Come la musulmana Amreen e l’indù Lokesh, avvelenatisi nel 2009 dopo il no dei genitori alle nozze e l’avversità del villaggio di Phaphunda, in Uttar Pradesh. Come i giovani blogger iraniani Nahal Sahabi e Behnam Ganji, noti come Giulietta e Romeo di Evin (il famigerato carcere degli oppositori di Teheran), suicidatisi misteriosamente nel 2011 dopo presunte pressioni della polizia per testimoniare uno contro l’altra e contro altri dissidenti. O come la fiera saudita 22enne Huda al-Niran, immigrata illegalmente in Yemen nel 2013 per sposare contro il parere del padre il suo Arafat Mohammed Tahar e incarcerata con accuse che prevedono l’estrazione e, secondo Human Right Watch, la morte.
Non è vero ahinoi che «amor omnia vincit» (Romeo e Giulietta vincono o no?). Ma amor è un dover essere che oggi come ieri resiste all’imperativo dell’odio.