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 2015  marzo 18 Mercoledì calendario

Non solo Incalza. Poteri e poltrone dei Grand Commis d’Italia. Un tempo non troppo lontano, quando i governi duravano poco e i ministri cambiavano spesso, gestivano la cosa pubblica alla stregua di Gran Ciambellani

Un tempo non troppo lontano, quando i governi duravano poco e i ministri cambiavano spesso, gestivano la cosa pubblica alla stregua di Gran Ciambellani. In fondo la storia di Ettore Incalza – non quella giudiziaria, bensì il potere che esercitava nella macchina ministeriale – somiglia a molte altre. Gli uscieri del Palazzo dei Monopoli si ricordano ancora di cosa accadde alla vigilia dell’insediamento del quarto governo Berlusconi. Era maggio del 2008. Il potentissimo Vincenzo Fortunato, allora capo di Gabinetto proprio alle Infrastrutture con Antonio Di Pietro, stava per tornare al vecchio incarico al Tesoro, con Giulio Tremonti. Si presentò a Piazza Mastai, fece sbarrare le porte del piano nobile e le consegnò al piantone: l’ordine era di non far occupare le stanze da chicchessia se non ci fosse stata la sua preventiva autorizzazione. Fortunato all’apice del suo potere – era il 2005 – cumulava incarichi e compensi che gli permettevano di dichiarare 788mila euro di reddito imponibile. Oggi è presidente della società di gestione degli immobili pubblici – Invimit – per il cui incarico percepirebbe 90mila euro lordi. Il condizionale è d’obbligo perchè dal sito del Tesoro non è ancora possibile stabilire quale sia stato il compenso effettivamente erogato nel 2014. Nella storia di Invimit, società nata per gestire la cessione di pezzi di patrimonio pubblico, c’è un dettaglio rivelatore: un decreto ministeriale del 2013 (il numero 166, ministro Saccomanni) precedente il tetto imposto da Renzi a tutti manager pubblici ma tuttora in vigore, divide le partecipate del Tesoro in tre fasce dimensionali. La prima garantisce uno stipendio pari al 100 per cento del primo presidente della Cassazione (il più alto per un funzionario pubblico), una seconda fascia all’80 per cento, una terza al 50 per cento. Un comma aggiunto in fondo al testo garantisce l’eccezione alla regola proprio per Invimit. Di qui la possibilità per Elisabetta Spitz – ex direttore del Demanio – di avere il compenso più alto nonostante diriga una struttura di terza fascia: fino a 300mila euro prima del decreto Renzi, 240mila oggi. Chi più chi meno, molti degli ex potenti Grand Commis siedono tuttora in poltrone importanti. Gaetano Caputi, legatissimo a Fortunato, si è solo di recente dimesso dalla Consob dopo una dura polemica interna sulle modalità di assunzione da parte del presidente Vegas. Marco Pinto, un altro ex pezzo grosso del Tesoro, ha aperto uno studio notarile, ma questo non gli impedisce di sedere ancora nel consiglio di amministrazione Rai a nome del Tesoro. L’anno scorso fece scalpore il suo voto contrario alla decisione del governo stesso di tagliare 150 milioni alla Rai. Un altro fedelissimo di Fortunato, Italo Volpe, siede invece nell’ufficio Affari legali dei Monopoli. Di recente i deputati Cinque Stelle avevano presentato un emendamento alla legge di conversione della riforma della pubblica amministrazione che lo avrebbe costretto a lasciare l’aspettativa da magistrato del Tar e lasciare per questo l’incarico. Ma così non è stato.