La Stampa, 18 marzo 2015
Israele, le scelta di Rivlin. È lui, il Presidente, il nemico di Netanyahu, l’interlocutore di Herzog, che dovrà affidare l’incarico e non è obbligato a darlo al leader che vanta più seggi perché può scegliere quello che ha «più probabilità di formare il governo»
«Sono convinto che solo un governo di unità nazionale possa impedire la rapida disgregazione della democrazia israeliana e nuove elezioni». È il capo dello Stato, Reuven Rivlin, il primo a commentare il risultato elettorale indicando la soluzione politica possibile. Anche se ciò significa sfidare il premier uscente, Benjamin Netanyahu, contrario a un patto con il centrosinistra di Isaac Herzog. È il difficile rapporto fra Rivlin e Netanyahu il protagonista del dopo-voto. Il presidente dalla sua ha il potere che possiede: non è obbligato a incaricare il leader che vanta più seggi perché può scegliere quello che ha «più probabilità di formare il governo». Ciò significa disporre di ampi margini di discrezionalità che si sommano a un’identità politica anomala.
Bandiera del Likud
Conservatore di razza, bandiera del Likud ma ai ferri corti – da tempo – con Netanyahu, Rivlin ha un dna politico insolito anche in uno Stato come Israele abituato a differenze ideologiche e rivalità personali. Erede di una famiglia lituana a cui appartenne il Gaon di Vilna, fra i più grandi studiosi dell’ebraismo, Rivlin crede anzitutto nella «democrazia israeliana». Lo ha detto quando è stato eletto dal Parlamento e lo ha sottolineato con più gesti inclusivi nei confronti di tutte le minoranze, a cominciare dagli arabi a cui ha reso omaggio andando a sostare in raccoglimento davanti al monumento che ricorda le 107 vittime di Deir Yassin, il villaggio alle porte di Gerusalemme attaccato nell’aprile del 1948 dai combattenti di Irgun e Lehi ovvero le fazioni espressione durante la guerra d’Indipendenza del sionismo revisionista di Zeev Jabotinski e Menachem Begin a cui il Likud si richiama.
Per i diritti degli arabi
La passione per la democrazia «inclusiva» fa di Rivlin un sostenitore dei diritti dei cittadini arabi, spiega le sue perplessità sulla legge per l’identità ebraica dello Stato sostenuta da Netanyahu ed è alla base di un’opposizione personale alla soluzione del conflitto con i palestinesi basata sui due Stati perché implicherebbe la rinuncia a territori – a cominciare da Gerusalemme e Hebron – che considera tasselli cruciali dell’identità collettiva ebraica. Sui valori Rivlin è un leader del Likud ma nella politica è un rivale di Netanyahu che non a caso tentò di sabotarne l’elezione a presidente giocando, in extremis, la carta del premio Nobel per la Pace Elie Wiesel. «Ciò che a Rivlin non piace di Netanyahu è l’essere un “politicante” e non un leader – afferma una persona che gli lavorò a fianco quando era presidente della Knesset – sempre proteso a difendere interessi personali o di breve termine, anziché a battersi per valori basilari dello Stato».
Interlocutore per Herzog
Sono tali elementi che trasformano Rivlin in un interlocutore a cui Herzog guarda con la consapevolezza di trovare ascolto quando propone «solidarietà» e «speranza» per «unire tutta la società israeliana senza eccezioni» richiamandosi proprio all’idea di «democrazia» che David Ben Gurion volle inserire nella Dichiarazione di Indipendenza. È stato questo approccio al dopo-voto che Shimon Peres, ex presidente, ha suggerito a Herzog puntando a gettare da subito un ponte verso Rivlin. L’intesa personale fra il presidente conservatore e il leader laburista è infatti l’indispensabile tassello per costruire una coalizione di unità nazionale. Tantopiù che potrebbe allargarsi alle forze di diversa matrice ideologica, a cominciare dai partiti religiosi che rispettano Rivlin. Il presidente ha però un tallone d’Achille: un carattere coriaceo che potrebbe non aiutarlo a gestire da arbitro un negoziato tutto in salita. Soprattutto per l’opposizione di Bibi.