18 marzo 2015
Variazioni in Faah. Nella mutazione di questo gene si trova la felicità. Chi lo possiede produce più anandamide, la cosiddetta molecola della “beatitudine”, una sorta “marijuana” naturale, che tiene lontano ansia e stress
È molto probabile che ogni essere umano nella vita abbia sperimentato l’ansia. La maggior parte di noi, inoltre, dà per scontato che sia innescata da un fattore psicologico.
I medici specialisti, invece, da tempo sanno che un gran numero di persone vive in uno stato d’ansia anche in assenza di pericoli o stress e ignora perché si senta così. È un po’ come se soffrissero di una condizione mentale che non ha alcuna origine o significato particolare.
Una recente ricerca nel campo delle neuroscienze spiega perché potrebbe essere proprio così. Per la prima volta gli studiosi hanno dimostrato che una variazione genetica nel cervello rende alcune persone meno ansiose per natura. Questa fortunata mutazione genetica produce nel cervello livelli maggiori di anandamide, la cosiddetta molecola della “beatitudine”, la nostra “marijuana” naturale.
In sintesi, alcune persone tendono a essere meno ansiose di altre perché hanno vinto questa sorta di lotteria genetica. Per di più, coloro che hanno questa mutazione genetica potrebbero essere meno portati a diventare dipendenti dall’uso della marijuana e di altre sostanze stupefacenti, perché non hanno bisogno dell’effetto calmante.
Un paziente mi è venuto a trovare di recente dicendomi che si sentiva depresso e letargico. Mi aveva raccontato che negli ultimi quindici anni ha fatto uso di cannabis quasi tutti i giorni e che per lui «è diventato quasi un modo di vivere», perché grazie a questa pratica ogni cosa appare «più interessante» tanto che riesce ad affrontare le delusioni senza deprimersi troppo. Mi è parso subito evidente, tuttavia, che era limitato dal punto di vista cognitivo a causa dell’assunzione costante di marijuana. In pratica, anche se la cannabis lo aiuta a tenere sotto controllo l’ansia, la sua capacità di impegnarsi e lavorare bene ne risulta pregiudicata.
Esiste tuttavia un modo diverso per interpretare l’ansia del mio paziente e il conseguente uso di cannabis. Il sistema endocannabinoide, così denominato perché la sostanza attiva nella cannabis, il THC (tetraidrocannabinolo, uno più noti principi attivi della cannabis, ndt), è associata all’anandamide prodotta dal cervello, è l’obbiettivo sul quale agisce la marijuana ed è risaputo che è collegato all’ansia.
Il cannabinoide più importante presente per natura nel nostro cervello è l’anandamide, una sostanza che i nostri corpi stessi sintetizzano. Tutti abbiamo l’anandamide, ma coloro che possiedono il gene fortunato ne hanno in quantità maggiore perché, viceversa, possiedono in minore quantità un enzima denominato FAAH (idrolasi di ammide dell’acido grasso, ndt), che disattiva l’anandamide. Ed è proprio una mutazione nel gene FAAH a far sì che quantità maggiori della beatifica molecola anandamide irrorino il cervello.
Le persone che presentano la variante del gene FAAH sono dunque meno ansiose e meno portate al consumo di marijuana. Anzi: quando la fumano sperimentano un calo della sensazione di felicità.
Uno studio basato su una comunità di quasi 2100 volontari sani ha permesso di scoprire che le persone che avevano due copie del gene mutante avevano quasi la metà (11 per cento) della possibilità di diventare dipendenti dalla cannabis rispetto a chi aveva un solo gene mutante o nessuno (26 per cento).
Interessante è constatare la frequenza con la quale la benefica mutazione FAAH differisca tra i vari gruppi etnici. Secondo i dati forniti dall’HapMap, un progetto che studia le somiglianze e le differenze genetiche tra gli esseri umani, più o meno il 21 per cento degli americani di origine europea, il 14 per cento dei cinesi Han che vivono in Cina e il 45 per cento dei nigeriani yoruban presentano questa fortunata variante genetica.
Eppure: questa mutazione è semplicemente da mettere in relazione a una diminuzione dell’ansia e a una minore dipendenza dalla marijuana? Per rispondere a questa domanda, Francis S. Lee, professore di psichiatria, e la ricercatrice Iva Dincheva del Weill Cornell Medical College insieme ad alcuni colleghi dell’università di Calgary e di altri atenei, hanno prelevato la variante del gene FAAH e l’hanno inserita in cavie da laboratorio. Come era prevedibile, queste cavie “umanizzate” si sono rivelate meno ansiose. E proprio come gli esseri umani, hanno evidenziato cambiamenti simili nei circuiti neuronali coinvolti con l’ansia e la paura.
Quando il dottor Lee ha insegnato ad associare alcuni stimoli precedentemente neutri con uno negativo, quale un rumore o una scossa elettrica, tutti i soggetti – a prescindere dalla loro variante genetica – hanno appreso le associazioni mentali legate alla paura. Quando però ha insegnato ai medesimi soggetti che il segnale di pericolo era diventato sicuro, presentando più volte questo stimolo non più in abbinamento con quello negativo, i risultati sono stati sorprendenti. Sia le cavie sia gli esseri umani con le mutazioni dei cannabinoidi hanno imparato in modo più efficiente a essere impavidi.
In pratica, sembra che la natura ci abbia progettati per essere vigili nei confronti dei pericoli: tutti impariamo ad avere paura delle nuove minacce con la stessa facilità. Alcuni di noi, però, dimenticano più facilmente i pericoli corsi in passato e affrontano la vita con minore ansia.
Il fatto è che tutti ce ne andiamo in giro con un assortimento casuale di varianti genetiche che ci rendono più o meno contenti, ansiosi, depressi o propensi all’uso di sostanze stupefacenti. Alcune persone potranno rallegrarsi del fatto di scoprire di avere una variante genetica che li predispone a essere più ansiosi, anche se per il momento non esiste una soluzione ad hoc. Il mio paziente ha tratto beneficio dall’assunzione di antidepressivi e dalla meditazione. Ma farmaci psicotropi, terapie e tecniche di rilassamento non giovano a tutti. Che cosa c’è di male, dunque, nell’utilizzare la marijuana nel trattamento dell’ansia?
Il problema è che la cannabis prende il sopravvento sul sistema cannabinoide del cervello e il suo utilizzo cronico può alleviare l’ansia ma anche interferire sull’apprendimento e la memoria. Ciò che servirebbe davvero sarebbe una sostanza in grado di aumentare l’anandamide – la molecola della beatitudine – di coloro che sono geneticamente svantaggiati. Per vedere quali saranno gli sviluppi, restate sintonizzati.
(Traduzione di Anna Bissanti. © 2015, The New York Times)