la Repubblica, 18 marzo 2015
Nel Paese della corruzione, dove, se vuoi essere onesto, devi rimanere immobile
Tutti condannano la corruzione. E fin qui: ci mancherebbe altro. Poi però, nel dibattito oramai endemico sull’altrettanto endemico fenomeno, si formano grosso modo due correnti di pensiero: una diciamo così “governativa” che non ritiene logico né giusto ritardare o sospendere qualsivoglia opera pubblica per il solo fatto che mette in tentazione (come si è visto) imprenditori e funzionari dello Stato; l’altra diciamo così “antagonista” che vede le opere pubbliche, e specialmente le grandi opere, quasi come fossero la componente organica di una macchinazione criminale a scopo corruttivo. In un dibattito radiofonico sull’Expo (l’eccellente Radio anch’io) ieri mattina le due posizioni erano perfettamente incarnate da Formigoni, minimizzatore del fenomeno corruttivo e inesausto lodatore della cantieristica nazionale, e da Gianni Barbacetto, severo analista del malaffare politico-economico. Si ascoltava con interesse. Ma veniva da chiedersi, e spero non sia una domanda ingenua: possibile che non si riesca a immaginare che anche la più febbrile stagione di opere pubbliche (piccole, medie e grandi) possa svilupparsi senza far divampare la corruzione, e magari perfino abbattendola? Come può un Paese immaginarsi onesto, ma immobile, oppure in piena corsa, ma corrotto?