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 2015  marzo 18 Mercoledì calendario

Così il divorzio ha cambiato la famiglia in Italia, dalla signora Tina alle liti fra ricchi. Gli effetti della legge che in 45 anni ha rivoluzionato i nostri costumi

Abito scuro e capello cotonato Tina Rocci si presenta così al suo secondo matrimonio, siamo nel giugno del 1971 e Tina, a 33 anni, è la prima divorziata d’Italia e del Piemonte: «Il primo marito non aveva niente di sbagliato. Era insieme che eravamo sbagliati» ha raccontato alla Stampa che è andata a rintracciarla quarant’anni dopo: «Mentre nel secondo matrimonio sono stata una moglie felice».
Qualche mese dopo di lei arrivarono al divorzio Marina Punturieri e il nobile marito Alessandro Lante della Rovere, e di seguito tante altre coppie «sbagliate» che erano in lista d’attesa per quell’appuntamento con la storia e che in silenzio avevano seguito nei mesi precedenti le manifestazioni e letto i giornali, facendo il tifo per la legge Fortuna-Baslini e per le battaglie un po’ scapigliate per l’Italia di allora di un ancor giovane Marco Pannella. Una legge che più di tante altre avrebbe cambiato faccia all’Italia e ai suoi costumi, facendola entrare in un’era nuova e più laica e che vale la pena di ripercorrere ora che con il divorzio breve quella strada sembra avviarsi al compimento.
Si calcola che già allora ci fossero almeno due milioni di famiglie di fatto che vivevano insieme senza potersi sposare, come ha raccontato nei mesi scorsi la Fiction di RaiUno «Questo nostro amore», una carrellata sugli anni Sessanta e i Settanta che ha per protagonista proprio una coppia irregolare, Anna Valle e Neri Marcorè con tre figlie adolescenti ma nessun vincolo ufficiale, a causa del precedente matrimonio di lui.
E ancora prima, nel cuore degli anni Sessanta, non erano poche le coppie che ricorrevano alla Sacra Rota per avere almeno la nullità ecclesiastica, o che inseguivano la cittadinanza straniera come Sophia Loren e il suo amore impossibile Carlo Ponti, e Vittorio De Sica con la spagnola Maria Mercader: «Mia madre ci teneva alla fede al dito. Ci trasferimmo tutti a Parigi, e ci costò una fortuna» ha raccontato a Oggi il figlio Christian.
Da quando è entrato in vigore il divorzio, 18 dicembre 1970, e soprattutto da quando il referendum del maggio 1974 lo ha confermato, quelle immagini di un’Italia ancora arcaica e patriarcale sono state ufficialmente archiviate, ma non è detto che tutto rifulga nel nuovo Paese moderno e fragile, dove insieme al divorzio abbiamo importato anche costumi occidentali fastidiosi come i divorzi miliardari e le lotte spesso rancorose sulla pelle dei figli. E quando non si lotta per gli appannaggi e «la roba», come è avvenuto in vicende ad alto tasso mediatico come i divorzi Falck-Schiaffino, Carrisi-Power, Berlusconi-Lario/Bartolini, ci si accanisce sull’ultimo trofeo: il cognome, che il marito vorrebbe negare e la moglie tenere come simbolo. È successo con Marta (Vacondio) Marzotto, Daniela (Garnero) Santanchè e Gabriella (Magnoni) Dompè che alla fine l’hanno spuntata dimostrando che negli anni avevano contribuito a far crescere la fama di quel cognome, che ormai faceva parte della loro identità.
In questi anni l’avvocato matrimonialista Cesare Rimini ha visto sfilare nel suo studio migliaia di coppie, che affrontavano la prova con diverso spirito, a seconda della personalità: dalla signora che si accaniva e non fidandosi neppure dell’avvocato volle leggere tutte le carte, e fu dimenticata nello studio chiusa a chiave. Alla coppia che signorilmente accettò di dividere l’appartamento in due parti uguali e, restando il problema del gatto, decise di lasciare un piccolo passaggio, di modo che l’animale potesse continuare a dividersi l’amore di entrambi.
Ma al di là dell’episodica individuale, quali sono le pietre miliari di questi quarant’anni e quali gli avanzamenti sulla strada del diritto di famiglia? «Di sicuro, anche se l’Italia è lunga e variabile, vedo che la posizione della donna va verso un’equiparazione e un riconoscimento. Come vedo l’emancipazione dei figli dal potere paterno». Ma quello che servirebbe ora, secondo Cesare Rimini, è un vero passo in avanti che eliminasse i due step, separazione e divorzio, unificando tutto in un processo serio che tuteli i diritti della moglie e dei figli: «Un passo difficile da compiere nel nostro Paese, nonostante un Papa pieno di comprensione dei problemi come l’attuale».