Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  marzo 18 Mercoledì calendario

Il complice di Alexander Boettcher e Martina Levato rivela: «La coppia dell’acido aveva una lista di cinque vittime da colpire. Anche la sorella di Pietro tra gli obiettivi»

La scena: strada deserta, tarda serata, buio, nebbia. Il luogo: Viboldone, piccola frazione fuori Milano, lungo l’autostrada per Bologna; in lontananza, i capannoni dell’Ikea. Nella tarda serata del 28 dicembre scorso, sul ciglio di quella strada si ferma una Fiat «Grande Punto» chiara. Scendono due ragazzi. Fanno un mucchio di vestiti; poi versano benzina. Danno fuoco. Tra le fiamme, brucia anche una cartellina con alcuni fogli: nomi e dettagli su cinque persone. L’elenco è un programma criminale. Cinque vittime ancora da raggiungere. Alexander Boettcher e Martina Levato sono sotto processo per l’aggressione con l’acido che ha sfigurato Pietro Barbini; sotto indagine per altri due agguati. Ora si scopre che la loro deriva criminale non era compiuta: avevano una lista di persone «da colpire».
Il progetto emerge ieri mattina, aula 9 del Tribunale di Milano, testimonianza di Andrea Magnani, bancario, in carcere perché ritenuto complice della coppia. Il ragazzo ripercorre l’aggressione a Barbini: «Boettcher era in mezzo alla strada. Martina tirava l’acido, lui la incitava». La sua ricostruzione rafforza l’accusa. Si incastra alla perfezione con tutti gli elementi raccolti nell’indagine dell’Ufficio prevenzione generale della polizia, guidato da Maria Josè Falcicchia. Magnani parla di Boettcher come ideatore e organizzatore. Aggiunge che si sentiva in soggezione verso di lui («ero in un momento di fatica personale ed economica»). Un’ora di testimonianza. A questo punto, la parola passa al pubblico ministero, Marcello Musso: è un «contro esame» efficace, serrato, punta ad allargare il racconto anche ad altri episodi.
Magnani (difeso da Andrea Etteri) ricorda le ore successive all’agguato del 28 dicembre. Boettcher viene arrestato in strada. Lui fugge in macchina con Martina. Dice di essere stato minacciato: «Ormai sei ricattabile». L’avvocato della famiglia Barbini, Paolo Tosoni: «Le dichiarazioni sono assolutamente attendibili nel descrivere l’aggressione a Pietro». Sono Magnani e Martina che si fermano in auto nella campagna buia di Viboldone, vicino a San Giuliano Milanese. Bruciano i vestiti corrosi da schizzi di acido, per eliminare possibili prove; buttano nelle fiamme la cartellina con i nomi: «Ho pensato che la lista fosse di altre persone da colpire».
Allegati (secondo il ricordo di Magnani) alcuni numeri di cellulare, qualche targa. L’elenco è inquietante: nella lista c’erano la sorella di Pietro Barbini, Federica, e Anays M., la fidanzata di Giuliano Carparelli (vittima del fallito agguato con l’acido del 15 novembre 2014). Ancora: Nicol Z., per ora sconosciuto, come Roberto C. (Magnani sostiene che abbia un impegno in politica); infine, un uomo che vive in Inghilterra. Il pm chiede se si tratti di Amir A., un ragazzo con cui Martina ha avuto un flirt nel 2013. Obiettivo da «punire», come gli altri, perché si era intromesso (a sua insaputa) nella storia torbida tra i due amanti. Una relazione totalizzante, che andava «purificata» con la vendetta: su tutti gli uomini che avevano avuto contatti sessuali con Martina. Come Amir. Magnani conclude: «Avevano in programma un viaggio a Londra. Una missione».