Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  marzo 18 Mercoledì calendario

Il risultato del voto israeliano complica la vita a Obama. Netanyahu ancora in posizione centrale sarà un grosso ostacolo per l’azione della Casa Bianca

Alla Casa Bianca la bottiglia dello champagne torna in frigo: solo una vittoria chiara della coalizione sionista guidata dal leader laburista Isaac Herzog, con l’uscita di scena o un netto ridimensionamento del premier e capo del Likud, Benjamin Netanyahu, avrebbe potuto ricreare una sintonia politica tra Obama e il governo di Israele, dopo due anni di conflitti sotterranei sfociati nello sgarbo di due settimane fa: il leader israeliano a Washington per parlare contro il negoziato Usa-Iran sul nucleare davanti al Congresso, all’insaputa di Obama che si rifiuta di riceverlo.
Una spregiudicata mossa preelettorale che la Casa Bianca aveva cercato di trasformare in un boomerang per il capo della destra ebraica. Quel viaggio, criticatissimo in Israele, e non solo dagli avversari di Netanyahu, perché indeboliva un’alleanza essenziale per Gerusalemme come quella con gli Stati Uniti, sembrava in effetti essere stato un passo falso per il leader conservatore che dopo il ritorno da Washington aveva visto nettamente peggiorare i suoi sondaggi elettorali. Non che una vittoria netta della coalizione di centrosinistra avrebbe risolto tutti i problemi di Obama: gli avversari di Netanyahu avevano, ad esempio, detto che, in caso di vittoria, il loro ministro della Difesa sarebbe stato il generale Amos Yadlin, un «falco» che si è detto pronto a bombardare l’Iran se non rinuncerà al nucleare.
Ma Herzog, un leader che è cresciuto e ha studiato negli Stati Uniti e che è molto legato al partito democratico Usa e in particolare ai Clinton, non ha mai fatto mistero della sua volontà di ricucire con Obama in caso di vittoria elettorale. Il presidente americano, che ha ufficialmente giustificato il rifiuto di incontrare Netanyahu a Washington con l’abitudine del governo Usa di astenersi da atti che possono essere interpretati come interferenze elettorali in un altro Paese, ha comunque puntato tutto su una sconfitta secca di Netanyahu.
Molti esponenti democratici si sono esposti su questo fronte. Alla fine è sceso in campo perfino Paul Krugman, premio Nobel e bandiera degli economisti liberal, che in un articolo pubblicato sul New York Times 24 ore prima del voto ha accusato Netanyahu di aver portato in Israele il capitalismo selvaggio che polarizza i redditi e impoverisce il ceto medio, «cannibalizzando» il modello sociale dei kibbutz.
La capacità di sopravvivenza del leader conservatore, però, sembra essere stata superiore alle previsioni: dopo i primi exit poll che danno una situazione di sostanziale parità (o un seggio di vantaggio a Netanyahu) e con la polverizzazione dei partiti minori le cui scelte sono in alcuni casi imprevedibili, ieri sera a Gerusalemme si cominciava a parlare di governo di coalizione. Per Obama questo significherebbe dover continuare a fare i conti con un interlocutore col quale i fili del dialogo sembrano irrimediabilmente spezzati.
Certo, non è pensabile che un’alleanza storica e basata su interessi comuni come quella tra Usa e Israele vada in frantumi solo per i pessimi rapporti personali tra due leader. Messe le elezioni alle spalle, probabilmente il clima si stempererà un po’, ed entreranno in azione i «pontieri». Ma Obama, impegnato su più fronti in vari giochi diplomatici ad alto rischio – dal negoziato con Teheran sul nucleare alla disponibilità a negoziare col dittatore-carnefice Assad sulla Siria, alla necessità di ottenere, nonostante il durissimo scontro sull’Ucraina, una qualche collaborazione di Mosca in Medio Oriente, da Damasco all’Egitto, alla crisi libica – aveva bisogno di recuperare un minimo d’intesa almeno con l’alleato di Gerusalemme.
I repubblicani Usa certamente esagerano quando dicono che gli elettori israeliani non hanno scelto tra Likud e centrosinistra, ma tra Likud e Obama. Se verranno confermate le indicazioni degli exit poll un risultato elettorale che lascia Netanyahu in una posizione centrale a Gerusalemme, questo sarà, tuttavia, un grosso ostacolo per l’azione della Casa Bianca.