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 2015  marzo 18 Mercoledì calendario

Moshe Kahlon, l’ebreo di destra che deciderà le sorti di Israele. Ha ottenuto tra i 9 e i 10 seggi alla Knesset, è stato a lungo membro del Likud ma la verità è che non sopporta Netanyahu. Ora deve scegliere se restare fedele alla destra alleandosi con il nemico o virare verso il centro di Herzog

Dalle urne israeliane è uscito un enigma. Va detto subito che dalle prime proiezioni risulta la tenuta di Benjamin Netanyahu. Il primo ministro non ha consolidato la sua situazione come sperava sciogliendo in anticipo il Parlamento, ma non ha neppure subito la sconfitta che speravano di infliggergli gli avversari, euforici nella corsa finale per l’eccezionale crescita dei consensi al centro sinistra rinnovato. C’è stata sia la sorprendente tenuta di Netanyahu, sia la promessa crescita della coppia sfidante Herzog-Livni. Dalle urne è uscito un pareggio, dicono le prime proiezioni, nell’attesa dei risultati finali: 27 seggi ciascuno nella Knesset che ne conta 120.
Per il presidente della Repubblica, Reuven Rivlin, è un rompicapo. Nelle prossime ore dovrà assegnare a uno dei leader l’incarico di formare il nuovo governo. Chi designare? Netanyahu o Herzog? Con saggia prudenza Rivlin ha accennato a un governo di unione nazionale, soluzione già adottata nel passato. Comunque egli non è tenuto a indicare il capo del partito che ha ottenuto più seggi, ma piuttosto quello che ha più probabilità di creare una coalizione con una maggioranza in Parlamento. Sia Netanyahu sia Herzog sono ben lontani dall’averla.
La legge dà tempo quattro settimane, più due se non bastassero, per cercare gli alleati. La caccia a questi ultimi, nei limiti designati dalla legge, è un vero enigma. Lo è quasi sempre nella vita politica israeliana. Questo volta lo è in particolare. La situazione dà a Moshe Kahlon, capo del nuovo partito Kulanu, un ruolo particolare. L’ex ministro delle Comunicazioni e poi della Sicurezza sociale è stato nel governo di Netanyahu fino al giorno in cui, stanco della sua prepotenza, lo ha abbandonato e ha formato un suo partito. Popolare per avere ridotto i prezzi dei telefoni cellulari e per avere lanciato una politica tesa ad abbassare gli affitti, troppo pesanti per le classi medie, Kahlon, ebreo proveniente dalla Libia, è un uomo di destra, a lungo membro del Likud. Ma non sopporta Netanyahu. Il quale gli ha tra l’altro giocato un brutto scherzo negli ultimi giorni della campagna elettorale. Usando una vecchia registrazione della voce di Kahlon, che diceva “votate Netanyahu“, gli uomini del Likud hanno fatto migliaia di telefonate agli elettori. Nonostante questo trucco l’ex ministro delle Comunicazioni ha ottenuto tra i 9 e i 10 seggi alla Knesset. Seggi che hanno fatto di lui l’arbitro della situazione. La sua alleanza deciderà infatti la sorte di Netanyahu o di Herzog. La fedeltà di destra gli farà dimenticare l’ostilità nei confronti di Netanyahu o lo condurrà a schierarsi con Herzog? La sua scelta contribuirà alla nomina del futuro primo ministro. Altrettanto decisivi saranno gli umori di altri partiti. Il laico centrista Yair Lapid con i suoi 12 seggi dovrebbe allearsi con l’Unione sionista, l’alleanza di centrosinistra formata dal laburista Isaac Herzog e dalla liberale Tzipi Livni. Ma la sua presenza nel governo provocherebbe il rifiuto degli altrettanti indispensabili ebrei ortodossi, che non perdonano a Lapid, un ex giornalista, di essersi opposto alle sovvenzioni e ad altri privilegi concessi ai religiosi. Per dissipare il dissidio Herzog dovrà usare il fatto di essere nipote di un celebre grande rabbino.
Per risalire la china, per recuperare i consensi perduti Benjamin Netanyahu ha appesantito la sua intransigenza: ha chiarito che non accetterà mai uno Stato palestinese, nonostante nel passato si sia dichiarato in favore, sia pure senza slancio; ha garantito che non smantellerà un solo insediamento israeliano nei Territori palestinesi, nonostante siano considerati illegali dall’Onu, dagli americani e dagli occidentali in generale; ha ribadito che non accetterà mai di condividere con i palestinesi Gerusalemme come capitale. Questo ha senz’altro rassicurato non pochi elettori di destra. Il partito estremista Habait HaYehudi di Naftali Bennett ha perduto infatti dei voti.
Pur essendo ferite dal forte aumento dei prezzi e degli affitti, in un’economia che pur conosce una crescita invidiabile (più del 3 per cento) e una disoccupazione attorno al 5, le classi medie non hanno seguito come si pensava gli appelli dei partiti di centrosinistra sensibili ai problemi sociali. La sicurezza ha prevalso. E malgrado la forte avanzata dell’Unione sionista di Herzog e di Livni, Benjamin Netanyahu ha continuato ad apparire il vero garante. Anche se la sua rinnovata presenza alla testa del governo renderà difficili i rapporti con gli Stati Uniti, che della sicurezza di Israele sono in sostanza i garanti.
Un franco successo del centrosinistra avrebbe cambiato la dinamica della politica israeliana. Avrebbe riconciliato lo Stato ebraico con le democrazie occidentali che vorrebbero un miglioramento nei suoi rapporti con i palestinesi. Dopo il voto, le contrattazioni per la formazione del nuovo governo lasciano aperte le strade. Ma non come molti speravano.