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 2015  marzo 17 Martedì calendario

La lezione degli anni ’90 su disoccupazione e tassi d’interesse

Il recente rapporto sullo stato dell’occupazione negli Stati Uniti segue la tendenza dei suoi predecessori da qualche tempo a questa parte. La disoccupazione è in calo e ormai è molto vicina alle precedenti stime del Nairu, il tasso strutturale di disoccupazione, quello al di sotto del quale l’inflazione comincia ad accelerare. Ma l’inflazione non sta accelerando; in particolare, i dati continuano a non evidenziare alcuna pressione sui salari. Cosa dovrebbe fare allora la Federal Reserve?
Secondo me dovrebbe applicare la regola di Cromwell: «Vi scongiuro, in nome delle viscere del Cristo, di contemplare la possibilità che potreste essere in errore».
Sì, magari la parte delle viscere lasciatela perdere.
Il Nairu a mio parere rimane un concetto utile, più che altro perché fa capire che sul lungo periodo non ci si può aspettare troppo dalla politica monetaria: per quanto si possa desiderare la piena occupazione, esiste una sorta di lower bound, di limite inferiore, anche nel tasso di disoccupazione, un livello che non è possibile raggiungere in modo sostenibile attraverso misure sul versante della domanda. Ma il Nairu non è particolarmente utile per decidere le politiche nel breve e nel medio termine, perché non sappiamo con precisione dove si attesti questo limite inferiore.
Io spero caldamente che alla Fed abbiano buona memoria e ricordino quanto successo negli anni 90. Nel 1994 o giù di lì tutti erano convinti, sulla base di ricerche apparentemente attendibili, che il Nairu fosse collocato intorno al 6 per cento. Ma Alan Greenspan (allora presidente della Fed) e compagnia decisero di aspettare di avere dati certi sull’aumento dell’inflazione per intervenire, e il risultato fu una lunga fase di crescita dell’occupazione che portò la percentuale dei senza lavoro al di sotto del 4 per cento, senza nessun accenno di esplosione dell’inflazione. Se avessero deciso di agire sulla base del Nairu presunto, avrebbero sacrificato migliaia di miliardi di dollari di crescita potenziale, più tutte le cose positive che derivano da un mercato del lavoro dove la domanda è superiore all’offerta.
Stavolta ci sono ancora più ragioni per non dare per scontato che sappiamo dove si attesti il Nairu, perché adesso sappiamo che alzare troppo presto i tassi rischia seriamente di incastrarti in una trappola di bassa inflazione da cui è molto difficile uscire. Pensate al Giappone nel 2000 (un’epoca che probabilmente molti hanno dimenticato), alla Banca centrale europea nel 2011 o alla Svezia dopo il 2010.
Magari il livello di piena occupazione è veramente al 5,3 per cento, e magari quando lo avremo capito senza ombra di dubbio l’inflazione nel frattempo sarà salita leggermente al di sopra dell’obbiettivo della Fed. Ma sarebbe un costo modesto da sostenere, mentre costerebbe un’enormità scivolare in una trappola della liquidità.