La Stampa, 17 marzo 2015
Quando il risparmio diventa un nemico. La dura vita delle formiche che mettono da parte tutto ma vedono la ricchezza diminuire
I tassi bassi sono di destra o di sinistra? Le decisioni delle banche centrali si presentano sempre come squisitamente «tecniche», dettate dalle contingenze e dalle teorie economiche.
Ma spaccano la politica in entusiasti e detrattori come neanche Berlusconi. Il «quantitative easing» della Bce ha per esempio suscitato reazioni indispettite in ambienti vicini alla Bundesbank, considerati «conservatori».
A sinistra, l’atteggiamento è stato ben diverso: a quanti celebrano con Mario Draghi il salvatore dell’Europa, si contrappongono quelli che gli imputano un eccesso di timidezza, dovuto alle pressioni dei soliti tedeschi.
Il Qe è un programma di acquisti di attività finanziarie, ma conta poco «che cosa» si compera: il punto è accrescere la liquidità.
Questo significa la permanenza di tassi molto bassi. I tassi bassi agevolano le manovre degli «speculatori», che la sinistra di norma avrebbe in uggia. Dopo la crisi del 2007-2008, ci hanno spiegato che sono state la speculazione e l’eccessiva «finanziarizzazione» delle attività economiche a trascinarci sull’orlo del baratro. Entrambe le cose trovarono terreno fertile nelle politiche della Federal Reserve di Alan Greenspan, che sarà pure stato di destra ma mantenne bassissimi i tassi d’interesse dopo l’11 settembre. Bassi tassi d’interessi rendono più facile per le imprese accedere al credito. Il che però comporta, come avvenuto negli Usa con la bolla immobiliare, che le banche diventino più generose nel concedere finanziamenti. Delle iniziative avventate, si paga il conto con la crisi successiva.
Come mai, allora, proprio i critici della «speculazione» caldeggiano tassi bassi?
Tassi bassi dovrebbero incentivare a spendere, perché la gallina domani non sarebbe molto diversa dall’uovo di oggi. Alleggeriscono il peso dei debitori, penalizzando i creditori: tanto basta a spiegare la riottosità dei tedeschi.
Chiudendo il semestre italiano dell’Unione Europea, il nostro premier ha detto che le famiglie italiane, con la crisi, si sono arricchite. Voleva dire che è aumentata la loro propensione al risparmio: atteggiamento da «formichine» atterrite dall’incertezza. Nell’ultima analisi della Banca d’Italia sulla ricchezza delle famiglie italiane, si legge invece che la ricchezza pro capite è diminuita dell’1,7% a prezzi costanti fra il 2012 e il 2013. Pesa l’andamento del mercato immobiliare: la casa è la forma di risparmio più tipica nel nostro Paese (dei famosi 8500 miliardi del nostro «risparmio privato», oltre 4900 miliardi stanno nel mattone).
In molti ambienti, oggi si avverte un sorta di fastidio per il risparmio. È, ormai, una guerra combattuta a suon di tasse (si pensi all’aumento delle aliquote sulle «rendite» finanziarie e dell’imposta di bollo sui conti). Si tratta di un conflitto che va a vantaggio dei ceti che tradizionalmente votano a sinistra? Lo si spiega così, il derby della politica monetaria: ognuno parteggia per i suoi elettori?
Sì e no. In Italia, la destra è anch’essa insofferente alle «formichine»: non le basta il quantitative easing, vorrebbe addirittura uscire dall’euro, evento assimilabile alla peste bubbonica per i risparmi degli italiani. Inoltre, pensare che gli elettori di sinistra siano tutti dei debitori cronici è una semplificazione parecchio rozza.
Nel nostro Paese il 93% delle famiglie detiene almeno un’attività finanziaria e il 67% è proprietaria di casa. Coloro che hanno un reddito basso sono i più esposti all’incertezza e cercano, appena possibile, di mettere da parte qualcosa. È vero che siamo obbligati a risparmiare per la vecchiaia attraverso i contributi previdenziali. In molti non credono che tanto basti a garantirci un futuro sereno. Esistono prodotti finanziari che aiutano a costruire un «piano di risparmio» proprio coloro che possono permettersi solo accantonamenti minimi. Evidentemente, incontrano una domanda.
Forse, più che uno scontro d’interessi l’un contro l’altro armati, è solo l’ennesimo scollamento fra rappresentanti, che discutono della politica monetaria, e rappresentati, che la subiscono in silenzio. Il piccolo risparmiatore non ha buoni consulenti e lobbisti a libro paga. È semplicemente un signore che dubita che l’Inps potrà garantirgli una buona pensione, che vuole un secondo parere prima di affidarsi alla sanità pubblica, che teme di non riuscire a trovare un nuovo posto di lavoro in caso perdesse il suo. Insomma, un «gufo» che nessuno vuole stare a sentire.