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 2015  marzo 17 Martedì calendario

È morto Gustavo Selva. Una vita tra giornalismo e politica, mal sopportato da Berlinguer, temuto dalla Dc, l’ex direttore del Gr2 se ne è andato a 88 anni

Ha atteso il compleanno di Radio Belva: il Gr che ogni mattina faceva a brandelli il Partito comunista nacque il 15 marzo 1976. Poi, ieri mattina, all’età di 88 anni, Gustavo Selva se ne è andato. Prima di lui nessun direttore Rai aveva messo la propria firma sul giornale, tantomeno su un editoriale, né aveva mandato in onda (...) :::segue dalla prima FAUSTO CARIOTI (...) un commento politico senza avere avvertito il segretario del partito di riferimento. Il primo a fare tutto questo, cominciando da quel giorno, fu Selva. Fu anche il primo a dare voce alla maggioranza silenziosa: il centrodestra italiano è nato ascoltando i suoi editoriali e leggendo i fondi di Indro Montanelli, la cui avventura da direttore partì in quello stesso periodo. Anni dopo, Gustavo Belva quella data l’avrebbe raccontata così: «Era una domenica. Debuttammo alle 7.30, un appuntamento classico e di grande ascolto. Per la sigla di apertura del giornale adottammo una rielaborazione in chiave moderna della vecchia e gloriosa sigla di Radiosera. Preceduto da un’altra sigla, con un inconfondibile rullar di tamburi, arrivò l’editoriale con il quale strinsi il “patto” con il pubblico dichiarando le mie intenzioni e l’impegno che con l’intera redazione mi assumevo. Da quel momento, il Gr2 ebbe i suoi fan, a mano a mano sempre più numerosi. Diventò anche un caso politico, con sostenitori entusiasti e oppositori feroci». Gli oppositori feroci erano i comunisti. Sangue romagnolo, era nato a Imola nel 1926. Cattolico e amante delle belle donne, aveva iniziato la carriera di giornalista all’Avvenire d’Italia, quotidiano bolognese. Da lì passò alla Rai, prima come corrispondente dall’Europa centrale, poi come direttore del Gr2. La Dc doveva affidargli il Tg1; all’ultimo momento però Flaminio Piccoli gli preferì Emilio Rossi. Selva voleva rifiutare il Gr, ma un pugno di colleghi lo convinse che avrebbe potuto essere uno strumento eccezionale, se usato bene. A patto, cioè, di mandare in onda un giornale radio diverso da tutti gli altri. Lo avrebbe fatto sino al 1981, quando furono resi noti gli elenchi dei presunti appartenenti alla loggia P2: il suo nome c’era, ma si trattava di una bufala. Per tutti quegli anni il Gr2 non fu della Dc, ma una proprietà personale di Selva, così potente da risultare indigesto anche ai dirigenti del suo partito. Amintore Fanfani una volta chiese a Piccoli se condivideva la linea di Selva, giudicata troppo dura. «Perché non glielo dici tu? A me non chiama mai» – fu la risposta di Piccoli, intimidito pure lui dai quei canini. La certificazione dei rapporti di forza la diedero gli elettori democristiani alle Europee del 1979: 412mila preferenze per il direttore del Gr2, 200mila per il presidente Piccoli, 150mila per Mariano Rumor. «Ora si spera che Selva sia dimissionario», scrisse l’Unità, ma ovviamente Selva non li accontentò: si rifiutò di andare a Bruxelles, continuò a dirigere il suo Gr e a fare incazzare i compagni. Tra lui ed Enrico Berlinguer, segretario del Pci in quegli anni, fu una sfida personale. Uno dei tanti aneddoti glielo raccontò, tempo dopo, un dirigente comunista: «Ogni mattina Berlinguer mi diceva: “Hai sentito Selva? Quello mi fa impazzire”. E io, che a quell’ora giocavo a tennis per sentirmi in forma, rispondevo: “Certo che l’ho sentito. È una cosa intollerabile!”». Anni di piombo, quelli di Selva direttore. Ogni giorno nella redazione del Gr2 arrivava una busta blu con un proiettile di pistola calibro 7.65. «Quando arriverà il calibro 9 cominceremo a preoccuparci», faceva ai suoi collaboratori, che prendevano la cosa molto più sul serio. Gli diedero una scorta, che ogni mattina lo accompagnava a piedi alla sede Rai di via del Babuino, dove entrava alle 5.30. Anni dopo si seppe che tutte quelle levatacce gli avevano salvato la vita. Vennero resi noti i verbali di una riunione di capi brigatisti tenuta a Milano: avevano pensato di ammazzare Selva, ma «i compagni di Roma, che dovevano preparare l’attacco, fecero presente che a quell’ora le strade sono deserte e la polizia può correre di più e soprattutto che nessuno si voleva svegliare a quell’ora». Non era un anticomunista istintivo: lo era perché, corrispondente Rai da Vienna e da Bonn, aveva visto il comunismo vicino quanto basta per non desiderarlo mai in casa propria. Oggi quelli che fanno le inchieste su Wikipedia si divertiranno a ricordarlo come il vecchio politico, all’epoca senatore di An, che nel giugno 2007 si fece trasportare in uno studio televisivo da un’ambulanza, perché Roma era bloccata. La Belva che fu, abituata a inzuppare Berlinguer nel cappuccino, non avrebbe perso un istante né con l’ambulanza né con loro. Era malato, ma a spezzarlo, nel 2008, era stata la perdita del figlio Lorenzo. Lascia altri tre figli e quattro nipoti.