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 2015  marzo 17 Martedì calendario

Paolo Bulgari spiega come riconoscere una gemma ad occhi chiusi e si racconta in un libro scritto con il fratello. Parla della Magnani («che mi trattò come un ragazzo di bottega»), della Taylor («che passava ore nel salottino privato»), degli anni della Dolce Vita («di cui non è rimasto più niente») e dei nuovi clienti («ormai sono solo imprenditori cinesi, giapponesi o principi arabi»)

«Quando tengo in mano una pietra preziosa, per capire se la sfaccettatura è perfetta, non ho nemmeno bisogno di guardarla. Ma la conferma che il gioiello sia davvero bello, arriva solo quando viene venduto». 
Paolo Bulgari, il «signore delle gemme», secondogenito della dinastia che attraverso un nuovo senso dei volumi e audaci accostamenti di colori ha rivoluzionato la storia della gioielleria, si racconta per la prima volta, con il fratello Nicola, nel libro «Roma, Passion, Jewels» (Electa) dove svela ricordi, aneddoti,incontri affidati allo scrittore Vincent Meylan, autore di monografie su Boucheron, Van Cleef & Arpels, Chanel e Mellerio. «Immaginare, creare gioielli è da sempre la mia passione, ma anche il mio lavoro e hobby. Mi diverto ancora come un pazzo. Ho sette collaboratori straordinari sparsi per il mondo, tutte donne: hanno una sensibilità speciale, mentre i collezionisti di pietre preziose sono quasi sempre uomini: credo apprezzino che in un piccolissimo spazio sia racchiuso un immenso valore». 
Schivo, riservato, solitario, Paolo Bulgari, presidente del Gruppo, due matrimoni, sei figli: quattro (Irene, Alessia, Gaia e Giovanni) dalla prima moglie, Alice Valli, due (Marina e Carlotta) dalla attuale consorte, la madrilena Maite Carpio, non aveva una gran voglia di apparire «ma l’azienda, che non è più mia (nel 2011 ceduta al colosso francese del lusso Lvmh ndr ) ha insistito e alla fine ho ceduto». L’abbiamo incontrato nel suo studio «segreto» in via Condotti, a fianco della storica boutique con facciata in travertino e interni in marmo, richiamata anche dall’enciclopedia Treccani come «modello esemplare di architettura applicata a un esercizio commerciale», tappa obbligata per le star di tutti i tempi: da Ingrid Bergman a Marilyn Monroe, Lauren Bacall, Audrey Hepburn, Monica Vitti, Sophia Loren, fino a Nicole Kidman, Sharon Stone e Angelina Jolie. «Quando Richard Burton e Liz Taylor nel 1963 giravano “Cleopatra” hanno trascorso intere giornate nel salottino privato. Lui diceva che l’unica parola che Liz conosceva d’italiano era “Bulgari”». Ma «indimenticabile» è l’incontro con Anna Magnani:«Mi trattò malissimo. Eravamo agli inizi degli Anni 60, avevo 22, 23 anni. Un giorno arrivò da noi che erano tutti impegnati e dovetti occuparmene io, ma ero poco esperto, così protestò: “ma chi mi avete mandato”?». Degli anni della Dolce Vita, spiega Bulgari «non è rimasto nulla. Un attore oggi non potrebbe permettersi gioielli così importanti, i nostri clienti sono gli imprenditori cinesi, giapponesi, i principi arabi. Allora erano solo italiani e americani». E quell’epoca fu straordinaria anche sotto l’aspetto creativo quando Paolo e Nicola, affiancando il padre Giorgio, segnano l’affermarsi delle icone stilistiche del marchio come le monete antiche montate su anelli e monili, la gioielleria modulare con il tema «Parentesi», il motivo «Tubogas», i bracciali-orologio «Serpenti». La tecnologia, certo, ha cambiato il modo di lavorare anche nella maison fondata dall’argentiere greco Sotirio Bulgaris nel 1884: «oggi dal disegno al prodotto si può fare tutto al computer – spiega il presidente – ma dai miei collaboratori pretendo che sappiano disegnare a mano libera». Sostenitore del «mecenatismo alla moda», ha assicurato che «il restauro della Scalinata di Trinità dei Monti da parte della maison con un milione e mezzo di euro, annunciato un anno fa, comincerà entro aprile. «C’è stato un ritardo dovuto alle nuove norme sugli appalti. Ma tornerà presto a splendere».