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 2015  marzo 17 Martedì calendario

Delitto di Garlasco, le 135 pagine che fanno Alberto Stasi a pezzi. «Chiara era diventata scomoda, l’ha massacrata senza pietà e poi ha acceso il computer, ha visionato filmati porno, ha scritto la tesi, come se nulla fosse accaduto». Ma lui continua a giurarsi innocente

Se il giorno della sentenza è stato nero, ieri non è certo andata meglio. Alberto Stasi ha letto 135 pagine che lo fanno a pezzi, che lo descrivono come una persona dalla condotta «per nulla collaborativa», semmai «fuorviante» e tesa «ad allontanare i sospetti da se stesso».
Lui, che giura da sempre la sua innocenza, ha letto di essere un ragazzo «riuscito con abilità e freddezza a riprendere il mano la situazione» dopo aver ucciso la sua fidanzata, Chiara Poggi, la mattina del 13 agosto 2007 nella villetta di lei, a Garlasco. Fronteggiò tutto «abilmente, facendo le sole cose che potesse fare, quelle di tutti i giorni: ha acceso il computer, ha visionato immagini e filmati porno, ha scritto la tesi, come se nulla fosse accaduto».
I giudici d’appello di Milano che tre mesi fa (nel processo bis) hanno condannato Stasi a 16 anni di reclusione, scrivono nelle motivazioni del verdetto (depositate ieri) che «Alberto ha brutalmente ucciso la fidanzata evidentemente diventata una presenza pericolosa e scomoda, e come tale da eliminare per sempre dalla sua vita di ragazzo “per bene” e studente “modello”, da tutti concordemente apprezzato». Ma dicono anche che «il movente dell’omicidio è rimasto sconosciuto» pur immaginando che il «raptus omicida portato fino alle estreme conseguenze» sia stato scatenato da «un pregresso tra vittima e aggressore tale da scatenare un comportamento violento evidentemente sorretto da una motivazione forte».
Dicono che «Chiara rimase del tutto inerme» perché era «tanto tranquilla da non fare assolutamente niente, tanto da venire massacrata senza fatica né pietà».
Dopo due assoluzioni questa sentenza riapre e valuta come prove i capitoli da sempre al centro di questa storia: primo fra tutti le scarpe pulite nonostante il percorso che Alberto racconta di aver fatto nella casa del delitto, con il pavimento sporco di sangue. Ma i giudici stavolta inseriscono nella ricostruzione del caso e nei motivi della condanna anche gli elementi nuovi emersi durante l’appello bis. Come la sostituzione dei pedali sulla bicicletta Umberto Dei di Stasi. Ha «valenza indiziante», dicono, la «presenza di un notevole quantitativo di Dna della vittima sull’unica componente della bicicletta Umberto Dei (un pedale, appunto, ndr ) “dissonante” rispetto a tutte le altre», cioè non di serie. Era stato il difensore della famiglia Poggi, l’avvocato Gian Luigi Tizzoni, a introdurre questo argomento ipotizzando che sulla Umberto Dei (bordeaux) fossero finiti i pedali di un’altra bici, probabilmente quella usata dopo il delitto da Alberto, al corrente fin da subito da giornali e televisioni che l’attenzione degli inquirenti fosse per una bicicletta di colore nero. Scrivono tra l’altro i giudici: «Non ha mai menzionato, tra le sue biciclette, proprio quella nera da donna subito collegata al delitto». E valorizzano il lavoro della procuratrice generale Laura Barbaini, soprattutto nel collegamento fra l’impronta di una mano sporca di sangue sul pigiama di Chiara (scoperta dalla stessa pg durante il processo bis) e le impronte di Alberto sul dispenser portasapone nel bagno della villetta. Le tracce sul portasapone «dimostrano che Stasi maneggiò il dispenser per lavarlo accuratamente» e che «fu l’ultimo soggetto a maneggiarlo».
«Una sconfitta per tutti» è l’interpretazione di uno degli avvocati di Stasi, Fabio Giarda. Che annuncia ricorso, dice che i giudici hanno ricostruito i fatti con «valutazioni del tutto scollegate dai dati già acquisiti» e parla di una condanna «per un omicidio senza arma, senza ricostruzione del post omicidio e senza movente». Ovviamente non la pensa allo stesso modo Gian Luigi Tizzoni, che si dice invece «soddisfatto perché in sostanza è stato riconosciuto praticamente tutto ciò su cui noi avevamo puntato fin dall’inizio» e perché «queste motivazioni ci ripagano di tante cose spiacevoli di questi anni».