la Repubblica, 17 marzo 2015
Qassem Suleimani, «il personaggio del male» che combatte il Califfo. Il comandante dei Qods, considerato dagli iraniani un eroe dai tempi della guerra contro l’Iraq, si è ripreso Tikrit. C’è chi pensa a lui anche come presidente
Dopo l’elezione di Rouhani i conservatori iraniani malvolentieri si erano fatti da parte. Rouhani aveva l’appoggio del Leader Supremo Khamenei per condurre in porto l’accordo sul nucleare e i conservatori non potevano far altro che mettersi in seconda fila, anche se temono l’accordo perché lo considerano un pericolo per la propria sopravvivenza politica: una sua conclusione positiva aumenterà il già grande favore popolare per i moderati e per i riformatori. Non hanno però mai smesso di tramare contro il presidente, esattamente come fecero dopo l’elezione di Khatami. Ora, mentre l’accordo sul nucleare è reso più incerto dall’opposizione frontale dei repubblicani a Washington, la loro strategia è diventata più chiara. Hanno individuato l’uomo su cui puntare, il generale Qassem Suleimani, considerato dagli iraniani un eroe dai tempi della guerra contro l’Iraq. È su di lui che i conservatori contano per riprendersi il potere alle elezioni presidenziali tra due anni, prevede Akbar Ganji, un riformatore da anni in esilio. Non a caso un sondaggio fatto dal sito conservatore khabaronline alla vigilia del capodanno iraniano dice che il generale Qassem Suleimani è preferito dal 37,3 per cento degli iraniani, più amato dello stesso ministro degli Esteri Zarif (29 per cento) molto stimato per tutto quello che fa per condurre a buon fine i negoziati sul nucleare, sul quale sono poggiate le speranze di tutto il popolo iraniano. Qassem Suleimani è il comandante di al Qods, le truppe speciali dei pasdaran, specializzate nelle missioni d’intelligence e di sostegno agli alleati dell’Iran all’estero, sempre rigorosamente top secret. Il suo nome o le sue foto non venivano mai pubblicate sui giornali iraniani. Tutto è cambiato dopo la comparsa dei terroristi dell’Is. Suleimani è l’uomo che effettivamente sta salvando gli iracheni, e forse salverà il mondo, dalla ferocia dell’Is, azzarda Ganji. Ma i conservatori hanno colto al volo l’occasione per farne l’eroe nazionale e sciita che potrebbero presentare contro Rouhani alle elezioni presidenziali del 2017 se il negoziato nucleare fallirà.
È così che l’uomo il cui nome non si poteva pronunciare da qualche mese è su tutte le prime pagine dei giornali, intere trasmissioni televisive gli vengono dedicate e tutti gli iraniani ormai conoscono il suo nome e le sue imprese. La prima volta che era apparso in un video era stato in autunno, dopo la prima vittoria sull’Is a Amirli, nell’Iraq settentrionale. Sotto la sua guida gli iracheni liberarono la città da un lungo assedio del Califfato, e nello stupore di tutti a Teheran si vide Suleimani festeggiato dalle truppe iraper chene e dai peshmerga curdi. Elogiato come abilissimo stratega, lui si schermì: «Non abbiamo fatto altro che ricordare agli iracheni come facemmo noi a resistere a Saddam quando nel 1980 ci attaccò all’improvviso». Volò a Baghdad poche ore dopo che l’Is, dopo aver preso Falluja, stava per attaccarla e la salvò. Da allora è sempre rimasto in Iraq. In questi giorni è a Tikrit ed è di nuovo grazie a lui se l’esercito iracheno, che otto mesi fa si era volatilizzato lasciando all’Is vaste zone del paese, si è ripreso la città che era da dieci mesi nelle mani del Califfo. Tikrit è una città chiave, non solo perché è la città natale di Saddam e la più sunnita delle città irachene, dove più numerosi sono stati i massacri tra sciiti e sunniti, ma anche la sua posizione strategica a metà strada tra Baghdad e Mosul. Una volta consolidata la sua riconquista, la strada per Mosul sarà aperta e la caccia dell’Is dall’Iraq non sembrerà più una chimera.
Suleimani si è sempre posto l’obiettivo di difendere gli interessi della Repubblica islamica: dovunque sia necessario e con ogni mezzo. «Un personaggio del Male», disse di lui il generale Petraeus. A Teheran invece molti lo considerano un uomo pronto al negoziato, non un ideologo. Durante la guerra contro l’Iraq criticò pubblicamente la tattica khomeinista di sacrificare sui campi minati iracheni migliaia di giovani iraniani. In Afghanistan come in Iraq offrì all’inizio agli americani qualche ramoscello d’ulivo, per avviare il dialogo. Ma alle risposte negative di Bush jr decise di rendere per gli americani l’occupazione dell’Iraq e la presenza in Afghanistan il più possibile dolorosa. La teocrazia iraniana calcolava che finché fossero rimasti impantanati in quei due paesi gli americani non avrebbero potuto far nulla contro l’Iran. Suleimani è accusato di aver fornito agli iracheni quegli ordigni micidiali (Ied) che ammazzarono tanti soldati Usa sulle strade di Baghdad. Da allora negli Stati Uniti è sulla lista dei terroristi.
Di pragmatismo non dà certo prova in questo momento il comando dei pasdaran. Due giorni fa parlando a Teheran all’Assemblea degli Esperti (che ha appena eletto un ultraconservatore alla sua presidenza, anche questa una prova che i conservatori si sentono più sicuri da quando l’accordo nucleare si trascina senza certezze), il comandante delle Guardie Rivoluzionare Ali Jafari ha salutato con soddisfazione la crescente «influenza» della Repubblica islamica nella regione. «L’esportazione della rivoluzione è entrata in una nuova era», ha detto. Parole che devo suonare sinistre alle orecchie della leadership saudita.
I sauditi temono, quanto e più ancora dell’Is, che un accordo sul dossier nucleare iraniano, e la collaborazione di fatto degli iraniani con gli Stati Uniti per respingere l’avanzata dei jihadisti, riabiliti nella regione e nel mondo il loro principale rivale persiano sciita. All’offensiva per riconquistare Tikrit non hanno finora partecipato i bombardieri americani. Forse perché Suleimani è ancora nell’elenco dei terroristi negli Stati Uniti. Ma i media arabi speculano che Teheran abbia rifiutato l’aiuto degli aerei americani per presentare la riconquista di quella città chiave come un successo esclusivamente iraniano, e un segnale dell’espansione dell’Iran nella regione.