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 2015  marzo 13 Venerdì calendario

Un solo esercito europeo con tanto di comandi e reparti unificati. Junker ha lanciato l’idea, Merkel è d’accordo, gli Stati maggiori sono in fermento. Ma la realtà sono anche i caccia che non decollano e i tank che si inceppano. Tutti i numeri di una sfida

Come all’apice della guerra fredda, si addestrano ancora insieme tra la pianura di Fulda, i fiordi norvegesi e la Sardegna, i nostri bersaglieri, i legionari francesi, i Panzergrenadiere tedeschi, ma sono sempre di meno, e a fronte di americani britannici e canadesi fanno figuracce: mancano mezzi munizioni e tempo di training per imparare a uccidere ipotetici aggressori, i jet in panne non decollano, i carri armati sono in riparazione, i fucili s’inceppano, mancano intelligence, radar e armi da cyberwar per combattere al buio. I soldati tedeschi addirittura, in omaggio al rigore merkeliano, a volte fanno “bum bum” o “rattattatà” imitando fucili, cannoni e mitra con la voce. Da Kiel a Palermo, i caccia in grado di de collare su allarme in ogni attimo e non fermi per eterne riparazioni sono ben pochi. Eccola, l’Europa militare di oggi: un nano, più ancora che in politica. Generali e ammiragli disperati, politici a corto d’idee e di soldi: come vuoi contare così nel mondo, davanti alle aggressioni di Putin, ad America e Cina assertive e superarmate, ad arsenali agguerriti d’India o Brasile? Basta, dicono i tedeschi spalleggiati da Jean-Claude Juncker: facciamo in corsa l’unione europea della Difesa. Insomma, un euro e una Bce con le stellette, forze armate europee. La proposta scuote governi e Stati maggiori, e rappresenterebbe una svolta dopo 25 anni di addio alle armi dopo il crollo del gigante sovietico. Bentornato riarmo, riecco i rischi di guerra, avvertiva The Economist pochi giorni fa. E allora, ha detto Juncker: o l’Europa sarà anche militare o non sarà mai unione politica né potenza.
«Ha ragione, il tema è serio e urgente», ha subito fatto eco la cancelleria. «Bisogna pensarci con impegno», ha aggiunto il ministro degli Esteri spd Frank-Walter Steinmeier. Il sasso è lanciato nello stagno: ci vorrà un Mario Draghi futuro comandante in capo di forze armate europee, pazienza se spesso litigherà con Berlino o sgriderà la Grecia. Non c’è tempo per il dubbio, avvertono strateghi della Bundeswehr o del comando Nato, le minacce sono alle porte: a est e nei cieli, coi bombardieri atomici Tupolev intrusi muti sulla rotta d’atterraggio di Londra-Heathrow a rischio di collisioni e stragi in cielo, poi le guerre ibride russe in Ucraina, e magari domani contro i Baltici e la Moldavia, l’Is a breve tempo di volo da Lampedusa o Reggio Calabria e con i foreign fighters tra noi. «Minacce troppo più vicine dell’ombrello d’un’America sempre più lontana da noi nella mente».
I conti del gap con Mosca e gli altri Grandi sono da shock, dicono anonimi gli esperti militari tedeschi e della Nato. Se escludiamo Royal Air Force, Royal Navy e corpi speciali britannici, l’Europa – paesi Nato “militarmente attendibili” cioè Italia Germania, Francia, Polonia, Olanda, Belgio più le neutrali Svezia e Finlandia – conta su circa mille jet, ma molti vecchi, non operativi, sempre scassati, un migliaio di carri armati di troppi modelli diversi, una collezione di marine costiere o poco più. Putin ha 1500 supersonici, migliaia di panzer, divisioni e divisioni di parà e corpi speciali, una flotta oceanica, senza parlare dell’arsenale nucleare. E che dire dei sogni vuoti di sovranità militare della Francia, la cui unica portaerei, la Charles de Gaulle, è più spesso in riparazione che in missione?
Bilanci al minimo, e casi estremi: in Germania, denuncia Der Spiegel, al massimo una trentina di jet è sempre operativo tra caccia Eurofighter e bombardieri Tornado, mentre all’Eliseo desideroso d’intervenire in Siria per fermare i massacri i capi dell’Armée de l’Air spiegarono «monsieur le président, Assad ha tre volte più aerei di noi». E il male assoluto è un altro: tanti piccoli eserciti, come i piccoli indiani di Agatha Christie. Ognuno comanda e obbedisce nella sua lingua, ognuno ha le sue armi di produzione gelosamente nazionali, incompatibili per ricambi comunicazioni e tutto l’una con l’altra: tre tipi di caccia (Eurofighter, Gripen, Rafale), quattro tank (Leopard, Challenger, Ariete, Leclerc), ciascuno le sue fregate e corvette. Piccole produzioni, troppo costose per avere abbastanza armi, troppo diverse per minacciare insieme di usarle. E tutti, tranne il Regno Unito, i polacchi e i baltici, hanno tagliato le spese per l’intelligence e la cyber war internettiana. Benvenuto rigore, sul lavoro giovanile come in uniforme.
Realtà disastrosa, e davanti alla minaccia di Putin di prendere la Polonia in 15 giorni e dell’Is di arrivare a Roma, la paura monta. Il piano Merkel-Juncker è chiaro, ma chiede una rivoluzione copernicana: comando unico, reparti unici o congiunti, armi uguali per tutti scelte insieme. La Bce della Difesa, appunto, come un euro in divisa, uniti e meno deboli che non con armate e valute nazionali.
Rivoluzione copernicana necessaria, dicono gli staff di Merkel e Juncker. Illusione, ribatte Gilles Merrit dell’istituto “Amici dell’Europa”: «Purtroppo se ne parla invano da 60 anni, nel ‘54 fu Parigi a bocciare l’Unione della Difesa». Pessimismo in Germania: «Cameron ha detto che non vuole le forze armate europee, dietro di lui francesi, tedeschi e altri, gelosi di sovranità-liliput, poltrone e piccole linee di produzione di armi si nascondono», osserva Markus Kaim del think tank Swp di Berlino. Molti, troppi punti non sono chiari, notano qui fonti diplomatiche di paesi scandinavi e del centro-est. Forze armate europee credibili di fronte a Russia, Cina, Usa e ai Grandi di domani dovrebbero dividersi i compiti senza pietà: magari a inglesi italiani e polacchi la difesa aerea, ai tedeschi i reparti corazzati, marina e intelligence elettronico divise tra Londra e gli olandesi, e così via. E chi avrebbe la sovranità sulle 500 atomiche ora in mano (200 moderne) a Downing Street e (300 obsolete) all’Eliseo dove forse traslocherà Marine Le Pen? E quante industrie urleranno, perché un caccia, un tank, una fregata del vicino sarà preferito al proprio?
Bando ai distinguo, il tempo stringe, insistono gli ottimisti a oltranza della Bce della Difesa. Urge pensare subito ai sistemi d’arma comuni, al comando comune, alle lingue comuni con cui capirsi in reparti misti. «Come col mercato comune, poi con la moneta unica e con lo spazio Schengen delle frontiere aperte, l’Europa passo passo va costruita, anche in divisa, o sarà il nano del mondo globale», incalzano. Belle parole, ma costa: l’euro amato o meno è in tasca a tutti, calcola crediti e mutui di tutti noi. Moderne forze armate comuni con la bandiera blu dalle tante stelle imporrebbero più spese a tutti, oltre il 2 per cento del Pil chiesto dalla Nato ai suoi membri e soddisfatto solo da Uk e Polonia. Avvicinarsi al 4,5 per cento e oltre di Usa, Russia e Cina peserebbe forse troppo.
Sacrifici per tornare tra i Grandi, o tanti soft power sdentati e a sovranità nazionale? Ogni notte, come quando nei cieli estoni e lituani caccia britannici, tedeschi o polacchi di modelli diversi si alzano in volo al minimo allarme da est senza strumentazioni elettroniche capaci di “parlarsi”, il dilemma d’Europa torna in scena.