Libero, 13 marzo 2015
«In casa di riposo sto male, cerco una famiglia che mi adotti». L’appello di Luigi Buzio, ex farmacista di 87 anni: «Sono pronto a pagare una retta da 1.600»
Spettabile Libero,
mi chiamo Luigi Buzio, ex farmacista a Milano in piazza Duomo, in piazza Baiamonti, via Manzoni, via Canonica. Ho sempre abitato a viale Zara. Ho 87 anni ma sono autosufficiente, mi trovo malissimo in casa di riposo. Con la mia compagna che è poetessa ed ha 63 anni cerchiamo disperatamente una famiglia buona e mite come lo siamo noi che ci accolga come uno di famiglia, versandole naturalmente la retta che paghiamo qui, cioè 1.600 euro al mese. A Milano ero conosciutissimo, mi sono laureato a 23 anni ed ho esercitato la professione per più di 50 anni, comprese le supplenze. I miei compagni di studi sono andati quasi tutti all’altro mondo, l’età e la malattia spesso non perdonano. Io sono ancora pieno di salute come la mia compagna e vorremmo essere un po’ più felici che qui.
Mettete pure il mio indirizzo, Dottor Luigi Buzio, casa di Riposo Ospedale Santa Croce, via Ernesto Panza 220, 15046, San Salvatore Monferrato, Alessandria.
Vi ringrazio di cuore e vi porgo referenti ossequi.
«Sono morto ch’ero bambino, sono morto con altri cento, e adesso sono nel vento e adesso sono nel vento». Ti accolgono questi versi di una canzone di Guccini, all’ingresso della casa di riposo Ospedale Santa Croce, a San Salvatore Monferrato, un paesello di cinquemila anime arroccato su un colle nel basso Piemonte, a una decina di chilometri da Alessandria. Qui ci sono tre panetterie, due pasticcerie e tanti anziani. Non solo fuori, per le strade e davanti ai bar, riuniti in capannelli silenziosi e immobili, ma anche dentro i due ospizi del paese, che danno vitto e alloggio ai vecchi che il paese più non vuole.
In uno di questi da sei anni è ospite Luigi Buzio, 87 anni, ex farmacista, che – come ci racconta – è «morto» per la prima volta da bambino, abbandonando la sua casa, una cascina nella periferia di San Salvatore «in cui vivevamo in più famiglie ed eravamo felici». Lui, figlio di contadini, se n’è dovuto andare molto presto a cercare fortuna altrove: studi a Pavia e poi trasferimento a Milano, dove è rimasto 50 anni, esercitando la professione di farmacista nelle vie del centro, da piazza Duomo a via Manzoni. La vita lo ha riscattato dalle umili origini che sapevano di sudore e terra. Salvo tradirlo ancora una volta, alle soglie della pensione: Luigi deve lasciare insieme il mestiere e sua moglie, «scomparsa troppo presto, per un colpo al cuore». Si rifugia dunque a Frascondino, un borgo vicino a quello dove è nato, a coltivare la sua solitudine di vecchio. Poi suo figlio e un medico gli consigliano di entrare in una casa di riposo, l’Ospedale Santa Croce. Ma qui Buzio si sente come un esule, pur nella terra che lo ha fatto crescere, morto in anticipo, insieme ad altri cento vecchi.
Allora, con la leggerezza di chi non ha più remore, si affida al vento e alle parole che quello sa portare. Scrive una lettera al nostro giornale in cui ammette di «trovarsi malissimo nella casa di riposo» e di «cercare disperatamente una famiglia buona e mite che mi accolga», perché «vorrei essere un po’ più felice che qui». Luigi, in realtà, parla al plurale perché non è da solo, ma scrive la lettera a quattro mani: le altre due sono quelle della compagna che ha conosciuto all’interno della casa di riposo, Elda, 63 anni, contadina e poetessa. Insieme sognano una fuga d’amore in tarda età e desiderano essere accolti da qualcuno, come due bambini innamorati che si possano adottare: vogliono restare uniti, ma in una casa vera. Luigi ci riceve dunque nell’ospizio e ci spiega dove sogna di poter trascorrere l’ultimo curvone della sua vita. «Mi piacerebbe», ci dice, «trovare una dimora a Nervi, in Liguria, sul mare, e passare lì gli inverni, come mi consigliava il mio pediatra; oppure, d’estate, essere accolto in una casa a Malè, vicino Trento, dove facevo le vacanze da ragazzo».
Mare e montagna, ricordi d’infanzia e orizzonte di una senilità serena si incrociano nel sogno tardivo di felicità di un ultraottantenne. Che ragiona ancora come un fidanzato, in cerca di una casa per sé e la sua compagna. Un luogo dove stare in fitto, naturalmente a pagamento. «A chi è disposto ad accoglierci», aggiunge serio Luigi, «verserei i 1600 euro al mese, che al momento pago qui di retta». Buzio e la sua donna non vogliono però solo una casa, ma anche una famiglia. Luigi, la sua infatti, l’ha persa ormai da tempo. Scomparsi i due fratelli maggiori e la moglie, l’ex farmacista di Milano ha dovuto rinunciare anche ai suoi due figli. «Il più grande», ci dice, «soffre di una malattia mentale, e il secondo ha preferito non accogliermi nella casa, che pure io gli avevo donato». I legami d’affetto, Luigi li ha potuti ricostruire solo grazie ad Elda: «L’ho conosciuta appena entrato nella casa di riposo. Lei scriveva versi e allora io ho provato a imitarla, dedicandole un messaggio di buon compleanno in rima. Lei ha ricambiato donandomi un orologio con incisi i nostri nomi sulla fibbia». Quasi a suggellare un’eternità d’amore sullo strumento che misura il tempo. Ancor più stretta del monile che porta al polso, è la fede che Luigi mostra al dito: «Ci siamo scambiati gli anelli in anticipo, perché sogniamo di sposarci, un giorno. E chissà, di trovare un nido o una cascina, dove poter vivere insieme a un’altra famiglia, come facevo da bambino».
Gianluca Veneziani