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 2015  marzo 13 Venerdì calendario

Tranfa, il giudice che firma le sentenze dalla pensione per la felicità di avvocati che ne chiedono l’annullamento

Proprio nei giorni in cui nel processo Ruby diventa definitiva quell’assoluzione di Berlusconi che in Appello per protesta indusse il presidente del collegio Enrico Tranfa a dimettersi da magistrato il 16 ottobre 2014, queste sue dimissioni occasionano un singolare rebus giuridico sulle motivazioni delle sentenze che, ancora da controfirmare o depositare quando decise di andare in pensione, Tranfa sta man mano smaltendo d’intesa con i vertici della Corte. 
La difesa del banchiere Ubaldo Livolsi (ex manager Fininvest) ha appena impugnato in Cassazione la condanna in Appello a 3 anni per concorso nella bancarotta del gruppo Finpart. Il dispositivo fu letto l’8 ottobre 2013 dai giudici Tranfa, Alessandra Galli (relatrice) e Alberto Puccinelli, e le motivazioni depositate il 16 dicembre 2014. A firmarle (come prevede la legge) furono la relatrice e il presidente, che intanto però si era dimesso da magistrato da 2 mesi. Una nullità? Il tema è poco trattato da quando il Csm nel 1997 e 2005 in due quesiti indicò che «l’accertamento delle condizioni di capacità del giudice deve essere compiuto con riferimento al momento della pronuncia della sentenza, mentre il loro venir meno nella fase della motivazione non è suscettibile di incidere sulla sostanza dell’atto emanato». Ma ora i difensori Massimo Dinoia e Armando Simbari, per sostenere che «la sentenza è stata sottoscritta da chi», Tranfa, «al momento della sottoscrizione non aveva più alcuna legittimazione a farlo», additano sentenze di Cassazione del 2009 che stabiliscono analogia tra il pensionamento e l’«impedimento» dell’art. 546: quello per il quale, se un presidente «per morte o altro impedimento» non può sottoscrivere la sentenza fra la lettura del dispositivo e il deposito delle motivazioni, provvede il componente più anziano del collegio. In concreto, nel caso Finpart la nullità rischia di colpire non tutto il processo ma la sentenza, che, rispedita in Appello dalla Cassazione, dovrebbe essere rifirmata dal giudice più anziano (qui la relatrice già firmataria) e tornare poi al vaglio della Cassazione. 
Potenzialmente non è l’unica sentenza in questa situazione: se infatti all’epoca delle dimissioni erano un centinaio le sentenze che il presidente doveva o controfirmare sulle motivazioni redatte dai colleghi o scrivere in proprio, ad oggi restano da firmarne per il deposito ancora una sessantina.