Corriere della Sera, 13 marzo 2015
Pene più severe per ladri e rapinatori mentre i maltrattamenti e lo stalking vengono esclusi dalla non punibilità, al pari di omicidio e lesioni colpose gravi. L’emendamento al ddl di riforma del processo penale messo a punto ieri dal Consiglio dei ministri
«Le pene per i furti in appartamento raddoppiano. Deciso in Cdm. Ora la legge su città sicure». È finita così. Con il tweet entusiasta del ministro dell’Interno, Angelino Alfano, un’altra giornata altalenante sul fronte dei delitti e delle pene.
Una giornata in cui la commissione giustizia della Camera ha dato il via libera alla prescrizione più lunga per i reati di corruzione. Scatenando le opposte proteste del Nuovo centrodestra che alza la voce perché la reputa troppo lunga. E dei Cinquestelle, che invece la ritengono una misura troppo blanda, e sfidano il Pd a iniziare il dialogo proprio da lì: estendendone tempi e campo di applicazione.
Una giornata in cui il Consiglio dei ministri ha messo a punto un emendamento al ddl di riforma del processo penale che aumenta le pene per furto in abitazione e scippo (il minimo passa da uno a tre anni, il massimo sale a 10). E quelle per rapina: la pena minima sale da tre a quattro anni, la massima resta 10 ma può salire da 5 a 20 anni se la rapina è a mano armata, compiuta da persone travisate o più persone, se è commessa in una abitazione o su mezzi pubblici, se la vittima ha appena fruito di servizi di banche, bancomat o poste e se ha più di 65 anni.
E contemporaneamente una giornata in cui il governo ha approvato la norma sulla «tenuità del reato». Un decreto legislativo che consentirà da subito al pm di non procedere contro chi ha commesso un reato con una pena massima non superiore a 5 anni. A patto che ci sia esiguità del danno o del pericolo e non sia compiuto abitualmente. Esclusi dalla non punibilità omicidio colposo, lesioni colpose gravi, stalking, maltrattamenti in famiglia e su animali.
Incluso invece il falso in bilancio. Una norma che va in direzione di ciò che era stato richiesto dalle piccole imprese per mitigare gli effetti della reintroduzione di quel reato. E per questo invocato per sbloccare la questione del ddl corruzione: sospeso in attesa dell’emendamento del governo proprio sul falso in bilancio.
Ieri però, a sorpresa, non lo ha fatto. L’emendamento, annunciato dal Guardasigilli Orlando in arrivo «a ore», poi «a giorni», non è partito per Palazzo Madama. Resta ancora bloccato a Palazzo Chigi. Forse arriverà lunedì. Forse nemmeno. Un ritardo che alimenta di nuovo il sospetto che il governo stia temporeggiando, malgrado le rassicurazioni date, per evitare le forche caudine della commissione giustizia, ad alta incidenza pd e Cinquestelle, e dunque poco incline ad ammorbidimenti. E per presentarlo direttamente in Aula, ma solo dopo che sarà stato licenziato il testo della commissione. In modo da evitare il rischio che, in caso di lavori della commissione non conclusi, si riparta dal testo base, presentato dal presidente del Senato, Pietro Grasso (che prevede per tutti i reati, anche quelli inferiori a 5 anni, la possibilità di intercettare gli indagati). Il testo infatti è atteso in Aula mercoledì 16. Ed è improbabile che la commissione in meno di due giorni riesca a votare emendamento e subemendamenti. Se sarà così si giocherà tutta in Aula la battaglia sulla corruzione, rivendicata dal premier Matteo Renzi, ma per ora con risultati ai quali il capo dell’Anticorruzione, Raffaele Cantone, ieri ha assegnato «appena la sufficienza».