La Stampa, 13 marzo 2015
Siria, un paese distrutto in quattro anni. 11,2 milioni di profughi, centinaia di miliaia di vittime e la gente continua a morire di fame: «Non ci sono più cani, gatti o topi da mangiare, e i bambini vanno a cercare fili d’erba per cibare le famiglie»
La guerra civile siriana entra nel suo quinto anno aggravata da un 2014 che si è rivelato il periodo più sanguinoso e devastante per la popolazione: ad attestarlo è il rapporto «Failing Syria» redatto da 21 organizzazioni umanitarie per accusare il Consiglio di Sicurezza dell’Onu di «mancare agli impegni presi» per soccorrere i civili.
Le cifre contenute nel rapporto, basato su una documentazione minuziosa di quanto avvenuto lo scorso anno, parlano da sole. Le vittime sono state 76 mila ovvero il bilancio annuale più alto registrato da quando, il 15 marzo 2011, cominciò la rivolta popolare contro il regime di Bashar al Assad. Il totale delle vittime registrato da allora è di 220mila che sono solo la punta dell’iceberg della «maggiore crisi umanitaria degli ultimi 20 anni» segnata da 11,2 milioni di profughi – fra coloro che hanno lasciato il Paese e chi continua a spostarsi all’interno – e in particolare «4,8 milioni di persone che risiedono in aree difficili da raggiungere».
Brilla solo il porto di Tartus
È qui che l’allarme delle ong umanitarie – da Oxfam e Save the Children – si fa più intenso perché denuncia il rischio che queste persone muoiano di sete, fame, freddo in zone assediate dai combattimenti in stallo fra le opposte fazioni. «Nell’area del fiume Yarmuk dove si trovano i campi palestinesi – ci spiega una fonte della Croce Rossa Internazionale – non ci sono più cani, gatti o topi da mangiare, e i bambini vanno a cercare fili d’erba per cibare le famiglie». Un’apocalisse che vede 5,6 milioni di bambini bisognosi di qualsiasi tipo di aiuto, 1,6 milioni di alunni impossibilitati a frequentare qualsiasi tipo di scuola e un impatto sulla popolazione che si misura nella «diminuzione della vita media di 20 anni».
Fra le immagini incluse in «Failing Syria» per descrivere l’impatto della guerra civile ci sono le fotografie notturne del Paese scattate dai satelliti: paragonando quelle del 2011 alle più recenti ci si accorge della pressoché totale scomparsa delle luci, anche nella capitale Damasco ma con l’eccezione di Tartus, il porto sul Mediterraneo dove attraccano le navi della flotta del Cremlino.
In alcune pagine, il rapporto affronta le pesanti conseguenze per l’Europa di questa crisi umanitaria, sottolineando come i siriani «a migliaia sono saliti sui barconi dei clandestini diretti verso Grecia e Italia» nello scorso anno e tale fiume umano è destinato ad «aumentare nel 2015». Il rimprovero al Consiglio di Sicurezza dell’Onu è «aver mancato all’impegno preso in tre diverse risoluzioni di proteggere i civili» afferma Jan Egeland, segretario generale del Consiglio norvegese sui Rifugiati che ha partecipato alla redazione del documento.
I civili abbandonati
«Tutte le parti impegnate nella guerra civile agiscono con impunità contro i civili perchè nessuno li protegge» aggiunge Vincent Cochetel, direttore europeo dell’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati, sottolineando come «quando le grandi potenze hanno deciso di agire in Siria sono riuscite a farlo, come nel caso dello smantellamento delle armi chimiche di Assad e della consegna di derrate alimentari in zone specifiche» ma sulla protezione dei civili «questa volontà ancora manca» con il risultato di aver precipitato l’80 per cento della popolazione sotto il livello di povertà, esponendola a eccidi, epidemie e sofferenze di dimensioni bibliche. «Ciò che più ci preoccupa – conclude Nigel Timmins, vicedirettore di Oxfam in Gran Bretagna – è che la catastrofe rischia oramai di essere accettata da una comunità internazionale che, dopo averla consentita, ora tende a voltare lo sguardo dall’altra parte davanti agli orrori quotidiani che continuano a moltiplicarsi».