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 2015  marzo 12 Giovedì calendario

Per la riforma della Rai, Renzi insiste sul manager unico: «Serve un capo vero. E il canone è da abolire». Oggi al Consiglio dei ministri le linee guida. Il Cda a sette: tre scelti dal Tesoro, tre dalle Camere, uno dai dipendenti

Un consiglio di amministrazione composto da sette persone, al posto delle nove di oggi. E nominato da più fonti: tre membri – uno dei quali sarà l’amministratore delegato – saranno scelti dal ministero dell’Economia, di fatto l’azionista di viale Mazzini. Tre saranno eletti dalle Camere in seduta comune, come avviene per gli organi di garanzia, Corte Costituzionale e Csm (uno di questi sarà il presidente). Mentre l’ultimo componente del cda dovrebbe essere il rappresentante dei dipendenti Rai, una novità assoluta in Italia, sul modello di quanto avviene nelle aziende tedesche. Quanto alla commissione di Vigilanza, resterebbe in vita come organismo di controllo, senza i poteri di nomina attuali. Mentre sul canone, resta l’idea del sottosegretario Antonello Giacomelli di dimezzarlo collegandolo alla bolletta elettrica. Ma ne spunta una nuova di Matteo Renzi: abolirlo del tutto.
È questo il cuore della bozza di riforma della radiotelevisione pubblica che nel pomeriggio arriverà sul tavolo del Consiglio dei Ministri in forma di linee guida, e che presto si trasformerà in un disegno di legge da sottoporre al Parlamento. Nel documento che gira a palazzo Chigi si legge che «riformare il servizio pubblico significa mettere la Rai nelle condizioni migliori per “informare, educare, divertire”, per poter essere la più innovativa azienda culturale italiana e riscoprire quel ruolo divulgativo che ne ha segnato il primo vero successo». È per questo che va cambiata. Ed è in questo senso che, secondo il governo, la legge Gasparri non funziona. «La Rai ha raccontato e costruito l’identità culturale e sociale del nostro Paese, ma con gli anni la morsa della burocrazia e dei partiti ha ridotto fortemente la sua capacità di competere, soprattutto a livello internazionale, indebolendo l’azienda». Quel che viene messo in evidenza è che non essendo «una municipalizzata di provincia, la prima industria culturale italiana non può sottostare a procedure cavillose chilometriche o avere l’incubo della Corte dei Conti.La nostra creatività e professionalità ha le carte in regola per gareggiare con i grandi network a livello mondiale, per entrare nei mercati internazionali delle produzioni di eccellenza, per esportare all’estero le fiction che raccontano l’Italia, ma deve essere messa nelle condizioni di farlo. La Legge Gasparri va esattamente nella direzione opposta, condannando la Rai a subire spaccature e rissosità del Parlamento». E quindi, no a nuove «architetture barocche» e via a una «guida manageriale vera, come quella di ogni grande player internazionale». Un capo che decida senza incappare in lungaggini e pastoie burocratiche.«Sicuramente la linea è che la governance della Rai deve essere forte, sulla base del merito», ha detto a Otto e mezzo il ministro Maria Elena Boschi. «Pensiamo che debbano andarci i più bravi, poi è normale che l’azionista decide chi deve guidare la società». Altra idea è quella di caratterizzare diversamente i tre canali principali, lasciandone uno generalista, uno per la sperimentazione, e uno culturale che andrebbe liberato dalla pubblicità. «Su questo il tema è molto legato al piano editoriale – spiega il deputato pd in Vigilanza Rai Vinicio Peluffo – devi dare una direzione di marcia, poi saranno i nuovi dirigenti a trasformarla in progetto credibile».Di tutto questo Peluffo – che è un po’ l’”emissario” di Renzi in Parlamento sulla questione Rai ha parlato martedì con Roberto Fico. Il presidente della Vigilanza segue la vicenda per i 5 stelle, ha scritto la bozza di riforma del Movimento ed è stato incaricato a cercare una mediazione da parte dello stesso Grillo. I punti di partenza dei due progetti appaiono distanti: in quello del Pd c’è un forte ruolo del governo, che ai grillini non piace. Ma Peluffo è convinto che su molti punti si possa lavorare: «Oltre ai criteri di incompatibilità – spiega stiamo ragionando insieme su quelli in positivo, ovvero su quale sia il profilo delle persone che dovrebbero entrare nella dirigenza Rai. In questo il progetto dei 5 stelle è interessante, e lo è anche quando individua un processo di controllo del Parlamento, con un’audizione pubblica dei nuovi componenti del cda nelle commissioni competenti, come avviene per i commissari europei». Quanto alla trasparenza, «ho spiegato a Fico che portando la Rai sul terreno del codice civile, come noi vogliamo fare, automaticamente dovrà sottostare alle regole che valgono per tutte le aziende. Non sarà anfibia come oggi. Ed è anche per questo che l’amministratore delegato dovrà essere scelto dal governo». I 5 stelle vorrebbero fosse nominato da un nuovo cda eletto per sorteggio a partire da una rosa scelta dall’Agcom: «Ma l’Agcom è un ente regolatore, non di nomina, e l’idea del sorteggio proprio non va. E poi, un amministratore delegato in qualunque azienda deve avere un mandato preciso, non può essere scelto indistintamente tra i membri di un collegio estratto a sorte. Il nuovo ad avrà un ruolo forte, molto più dell’attuale direttore generale, che deve andare ogni volta a trovarsi una maggioranza nel cda di cui non fa parte».