Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  marzo 11 Mercoledì calendario

Così la Fiat modificò le regole del gioco. Paolo Rebaudengo, responsabile delle relazioni industriali del gruppo Fiat fino al 2012, racconta in un libro come il nuovo contratto cambiò il sistema della fabbrica

Non si trattava di rimettere in discussione i diritti dei lavoratori o la storia di 50 anni di negoziazioni con il sindacato. Si trattava piuttosto di trovare all’interno del sistema Fiat una modalità che, pur salvaguardando i lavoratori e le loro conquiste, permettesse all’azienda di fruire delle prestazioni e del lavoro del personale con criteri più coerenti e più compatibili con le nuove esigenze di mercato». Paolo Rebaudengo, responsabile delle relazioni industriali del gruppo Fiat fino al 2012 ricostruisce in un libro che esce oggi i recentissimi anni e gli eventi che hanno fatto proprio dell’esperienza Fiat- sotto la spinta del Ceo Sergio Marchionne – una linea di faglia dove si sono scontrate le forze opposte di una tradizione sindacale targata Fiom e le esigenze di un’azienda che si è trovata a competere in un’economia globale. Un’esperienza che è diventata anche paradigma per l’intero sistema italiano, come del resto spiega il titolo completo del volume edito dal Mulino: «Nuove regole in fabbrica. Dal contratto Fiat alle nuove relazioni industriali». 
Dell’accordo-svolta del 2010 nello stabilimento di Pomigliano, dove Fiat decide di spostare la produzione della Panda, Rebaudengo scrive che «l’aspetto di maggior novità che forse quasi nessuno ha colto non sta tanto nei contenuti, ma nella domanda di cambiamento fatta al sindacato. A mio parere infatti la vera svolta fu la richiesta ai sindacati di svolgere in modo diverso il proprio compito, non rinunciando alla tutela degli interessi specifici del lavoratore, ma tutelandoli nell’ambito di un interesse più ampio che è quello collettivo dell’impresa». Un’interpretazione alla quale l’autore oppone la posizione della Fiom e del suo segretario Maurizio Landini, spinto – scrive – «da motivazioni esclusivamente politiche». Da Pomigliano si arriva a Mirafiori, dove l’accordo del 29 dicembre dello stesso anno rappresenta «il primo importante esempio di contratto collettivo nazionale per realtà industriali che non aderiscono al sistema Confindustria e rappresenta la prima formulazione di un accordo... senza tener conto di un sistema storico che deriva da accordi interconfederali e dalla precedente contrattazione». Il conflitto sindacale si trasferisce intanto nelle aule di giustizia, dove la Fiom lamenta una violazione dell’articolo 19 sulla rappresentanza che secondo Fiat invece non esiste. La vicenda si concluderà con una sentenza della Corte Costituzionale che non fa chiarezza, tanto che in appendice Rebaudengo propone «una norma di legge che chiarisca esattamente le modalità di definizione di esercizio di una rappresentanza sindacale in azienda».