La Stampa, 11 marzo 2015
Come s’è fatta vecchia la Serie A. Ultima in Europa per i ricavi dai propri vivai. E oltre ai pochi giovani lanciati, ai pochi soldi guadagnati, c’è anche chi se ne va per zero euro
Gioventù sempre più bruciata. Se ne vede pochissima in serie A, il campionato che da più bello del mondo si è riciclato in quello con l’età media più alta (27,3 anni), e non porta neanche tanti soldi nelle casse delle società. La cartolina inviata da uno studio del CIES Football Observatory consacra l’Italia in un paese (calcistico) per vecchi e poveri: dal luglio del 2012 le vendite dei giocatori forgiati nei settori giovanili per almeno tre stagioni dai 15 ai 21 anni hanno portato la miseria di 114 milioni. Pochi, pochissimi se paragonati ai 292 della Ligue 1 francese.
Pianificazione inglese
Crisi generale di sistema, ma anche di tante singole politiche societarie. Le eccezioni italiane si chiamano Genoa a Atalanta, rispettivamente al 15° e 17° posto della Top 20 di chi ha guadagnato di più dalla vendita dei prodotti fatti in casa. I 24,5 milioni di incassi genoani, provenienti da Boakye, Cofie, El Shaarawy, Lazarevic e Sturaro, e i 23,6 atalantini, frutto delle dismissioni di Bonaventura, Consigli, Colombi, Gabbiadini e Olusson, restano una goccia nell’oceano dei ricavi di chi ha saputo fare tesoro di vivai, academy o cantere. Il Southampton, autentico specialista della materia, ne ha intascati 90,2 solo dalle vendite di Chalmers all’Arsenal, di Shaw allo United e Lallana al Liverpool.
Regole diverse
Niente di casuale, tutto pianificato abilmente a tavolino. Da anni, come dimostrato anche in passato con Bale, Walcott, Bridge e Chamberlain, il laboratorio del Southampton sforna scientificamente giovani prodotti calcistici di prima qualità, li rivende a prezzo pieno e ne fabbrica subito degli altri. Un meccanismo virtuoso che, grazie ai 30 milioni di sterline spesi per riqualificare e ampliare le strutture della propria «youth academy», ha tutte le carte in regola per continuare girare anche in futuro. Già, perché all’estero i club sono obbligati a investire una parte del proprio fatturato nei settori giovanili, in Italia no. Anche il divieto italiano di siglare contratti da professionista prima dei 16 anni non aiuta: la spesa proletaria dei club esteri nei vivai di mezza Italia è sempre più all’ordine del giorno. La Roma, appena scippata del baby Scamacca dal Psv Eindhoven, ha persino inviato una lettera informale alla Uefa e a Platini chiedendo maggiore tutela. Oltre al danno dei pochi giovani lanciati e dei pochi soldi guadagnati, manca solo la beffa della fuga di massa a zero euro.