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 2015  marzo 11 Mercoledì calendario

Dal sopralluogo alla messa in onda, un ex producer dell’Isola dei famosi spiega come si costruisce un reality estremo: «Siamo sul posto almeno quattro mesi prima con almeno 140 uomini. Senza contare i locali presi per guidare i mezzi o evitare che intrusi si possano avvicinare. Le apparecchiature tecniche e le tonnellate di cibo invece arrivavano coi container»

Gioca oppure muori si è visto al cinema. Da «Rollerball» con James Caan del 1975 a «L’implacabile» con Arnold Schwarzenegger nel 1987. Gioca e poi muori solo nei reality tv. Ma la fatalità o l’errore umano dietro alla tragedia in Argentina sta quasi nell’imponderabile dei reality studiati a tavolino in ogni minimo dettaglio. «Perché prima di andare in onda, c’è un lavoro enorme che non si vede, ma spesso decreta il successo o meno del format», assicura un ex producer di Magnolia con nel palmarès due edizioni di «Isola dei famosi», anche lui un naufrago in quella sperduta isola dell’Honduras senza nemmeno l’emozione dei riflettori ma solo col bello della diretta vista dal lato scuro della telecamera.
Prima della messa in onda
«Se la location è già stata sperimentata noi partiamo 3 o 4 mesi prima della messa in onda. Se l’isola è una new entry ci vogliono pure 6 mesi di sopralluogo». Il pronome «noi» nasconde un esercito di uomini della televisione. Almeno 140 persone nell’Isola honduregna. Senza contare i locali presi per guidare i mezzi, pilotare auto e barche, sorvegliare l’isola dalle intrusioni o evitare che intrusi – giornalisti o turisti – si possano avvicinare. I mezzi tecnici per la messa in onda – ma pure tonnellate di cibo made in Italy – arrivavano coi container. Sul posto c’erano due elicotteri per le riprese e le emergenze, quattro barche grandi per la produzione più un numero infinito di motoscafi e barche leggere per gli spostamenti. 
«L’isola per noi in realtà erano tre. Quella del reality. La nostra base tecnica a 30 chilometri di mare. Una più piccola ma più vicina alla location delle riprese con le strutture di emergenza medici compresi», racconta il producer che ha passato mesi in un luogo assai esotico ma che, turni di riposo a parte, non si può certo dire che sia stato in vacanza. «Il primo sopralluogo riguarda la morfologia dell’isola. Magari ci sei stato l’anno prima ma le maree e le correnti in un niente si sono portate via già mezza spiaggia. L’ultimo la pulizia, perchè l’isola disabitata è un ricettacolo di tutti i rifiuti del mare portati sulle spiagge».
La base logistica
Ma prima, molto prima, c’è la scelta dell’isola. Deve essere disabitata. Non deve essere facile per i concorrenti lasciarla a piedi o a nuoto. Non deve essere troppo lontana dalle altre isole che fungono da base logistica. Non deve essere troppo vicina alle isole normalmente frequentate dai turisti. «Sull’isola c’è il nostro personale di supporto ma non è che può sparare... Se si avvicina la barchetta di turisti si cerca di non inquadrarla nelle riprese...». Ma la cosa più complicata almeno all’inizio è prendere contatto con le istituzioni locali che devono di fatto cedere la potestà della loro isola avendone in cambio un notevole battage pubblicitario. «Di solito le autorità locali sono disponibili a collaborare...».
Gli imprevisti
Perché la ricaduta economica è più che importante per i Paesi caraibici. Le troupe e il personale tecnico e amministrativo occupano hotel per mesi. Poi ci sono i contractor locali e il noleggio dei mezzi. «È tutto ovviamente più difficile che in una location in Italia. Anche perché una volta che sei in onda puoi aver studiato tutto al millimetro ma c’è sempre un’incertezza imprevedibile. Penso al maltempo che ha bloccato la prima puntata di questa edizione dell’Isola... E allora sei senza rete e non ci sono piani B possibili. Ma questo si sa, lo dicono sempre i maestri, è il bello della diretta. Per noi che stiamo dietro lo schermo, a volte è pure il brutto, anche se facciamo di tutto per non farlo vedere».