La Stampa, 11 marzo 2015
«Se Renzi non cambia l’Italicum, non lo voto». Ecco come la pensa Pierluigi Bersani, che aggiunge: «C’è un problema di equilibri della democrazia: con questo sistema ipermaggioritario, con una camera di nominati, se al ballottaggio vincesse Grillo che succederebbe? Se lo sono chiesto?»
Resta fino all’ultimo in piedi appoggiato alla balaustra dell’emiciclo, Pierluigi Bersani, da solo e col cellulare in mano, come a prendere le distanze da quello che sta per succedere. «Se Renzi non cambia l’Italicum, non lo voto, e questa sarà l’ultima volta che voto la riforma costituzionale». Ha esposto le sue perplessità e i suoi dubbi su queste riforme a Mattarella un’ora prima al Colle. Ora però gli tocca fare il suo dovere, va a sedersi sul suo scranno e a fatica preme il tasto verde.
Ha scommesso una pizza con Civati, se non otterrà quel che chiede non si allineerà più alla «ditta» quando arriverà in aula la legge elettorale. Ogni volta i maldipancia e poi trionfa però la disciplina, d’ora in avanti niente sarà più come prima, parola di Bersani. Che ci tiene a far capire bene di non avere altri disegni, se non quello di migliorare le riforme, non di volerle ostacolare per indebolire Renzi.
Spiega di esser scuro in volto solo «perché domenica mi son fatto una camminata di sei ore al sole». Ma lo stesso vuol far mostra di forte irritazione di fronte al diktat che se non passasse l’Italicum cadrebbe il governo e dritti alle urne. «Basta minacce, questa tendenza a pensare che gli altri siano solo attaccati alle poltrone sembra tanto una proiezione».
Sfoggia indignazione di fronte al sospetto che se si cambiasse la legge elettorale, poi dovrebbe tornare al Senato dove i «suoi» voti, quelli dei bersaniani, diventerebbero determinanti. «Non scherziamo, se otteniamo una modifica, garantiamo che in Senato si voti. Qui nessuno vuole bloccare nulla, sia chiaro».
Il faticoso compromesso raggiunto fin qui del doppio turno e del premio alla lista non va bene. «Non è una questione tra me e Renzi, è un problema che dovrebbero porsi tutti». Quale? «Un problema di equilibri della democrazia: con questo sistema ipermaggioritario, con una camera di nominati, se al ballottaggio vincesse Grillo che succederebbe? Se lo sono chiesto?».
Fa niente che il doppio turno è stato per anni un miraggio, a Bersani e compagni come è congegnato nell’Italicum non piace lo stesso. Pure perché al secondo turno potrebbero andar persi voti a sinistra e aggregarsi tutti i voti anti-sistema, compresi quelli di Salvini e della destra. E poi c’è il vulnus «di due partiti, magari uno col 25% e l’altro con il 30%, che si contendano un premio di maggioranza del 51% in un ballottaggio che lascerebbe fuori la metà degli elettori. La soluzione sarebbe il ballottaggio di coalizione, consentendo un apparentamento al secondo turno, per far partecipare tutti».
E c’è il nodo delle liste bloccate, dove «chi non vince ha un cento per cento di nominati»; e anche se le preferenze creano rischi di inquinamento e di campagne elettorali costose, l’ex segretario le difende. Quando toccò a lui decidere le candidature col porcellum fece le parlamentarie del Pd, ma pure un bel listone di centocinquanta e passa nominati. «Lo so, ma ora dobbiamo pensare al futuro e cambiare le regole in meglio e con le preferenze almeno decide il popolo. Certo l’ideale sarebbe il “mattarellum” con i collegi uninominali». Fa niente che i posti in lista li decidevano sempre i partiti. «Le sfide però te le dovevi sudare, una volta son passato per un soffio contro un sindaco...».