Il Sole 24 Ore, 11 marzo 2015
Libia, il generale Khalifa Haftar, comandante della Cirenaica, chiede direttamente a Renzi di schierarsi con il governo di Tobruk: «Dateci le armi e noi caccaremo l’Isis». Oggi l’incontro tra il premier italiano e l’inviato dell’Onu Leòn
La “quarta sponda” per l’Italia è il banco di prova di una politica estera che ogni giorno presenta il suo conto salato in termini politici, economici, umani e anche di dignità nazionale. C’era una volta la Libia di Gheddafi con le sue pretese assurde, adesso sale alla ribalta quella di un suo generale ripudiato, Khalifa Haftar, dalla fama controversa. Haftar, appena nominato comandante in capo della Cirenaica, chiede direttamente al presidente del Consiglio Matteo Renzi di schierarsi con il governo di Tobruk.
Haftar chiede così di affossare la mediazione dell’Onu e liberare il suo esercito dall’embargo internazionale di armi, promettendo in cambio di spazzare via il Califfato e rimettere in vigore i vecchi trattati sull’immigrazione clandestina.
Un’offerta allettante ma insidiosa che nello sbandierare la lotta all’Isis nasconde altri obiettivi, oltre che le evidenti ambizioni personali del nuovo uomo forte. Considerato da alcuni una sorta di Garibaldi libico, da altri un golpista mancato, Haftar è un settantenne dall’aria mite ma con un senso della lealtà molto flessibile e una lunga storia di conflitti e cambi di casacca alle spalle: nel 1969 partecipò al colpo di stato di Gheddafi ma alla fine degli anni ’80 si schierò contro il Colonnello. Costretto a rifugiarsi negli Stati Uniti per 20 anni, è tornato in Libia per lanciare l’Operazione Dignità contro le milizie islamiche di Bengasi.
Palazzo Chigi gli ha dato indirettamente una risposta: oggi Renzi riceve l’inviato dell’Onu Bernardino Leòn che conduce le fallimentari trattative tra Tripoli e Tobruk. Una replica pronta ma non sufficiente perché la Libia, come già avvenne quattro anni fa, ci impone delle scelte.
Se ci appoggiate – è il ragionamento di Haftar – sistemeremo la Libia e liquideremo l’immigrazione, altrimenti l’Italia passerà per uno sponsor degli islamisti e del caos. Sembra un’offerta da non perdere ma dentro al cesto dell’uomo della Provvidenza c’è anche la mela avvelenata. Si tratta in poche parole di avallare la spartizione della Libia tra Tripolitania e Cirenaica cominciata già all’indomani dell’attacco a Gheddafi nel marzo 2011.
Il generale ha un obiettivo dichiarato: mandare all’aria i negoziati perché pensa di potere vincere con la forza la partita contro il governo di Tripoli.
In realtà il generale all’Italia chiede una sorta di “cappello politico” perché dei tanti attori coinvolti nella guerra l’ex potenza colonialista è quella di cui libici paradossalmente diffidano meno. Mentre non hanno alcuna fiducia nell’Egitto, principale sponsor del generale, sospettato da sempre di avere mire territoriali e sulle risorse energetiche della Cirenaica, il 70-80% di quelle libiche.
Haftar vuole che l’Italia abbandoni al suo destino il governo della Tripolitania, dove con l’Eni abbiamo il 70% dei nostri interessi energetici, per schierarsi a favore dell’esecutivo di Tobruk, riconosciuto dalla comunità internazionale ma anche uscito da una consultazione del giugno scorso dove ha partecipato il 30% dell’elettorato. Il nostro errore, dopo la sentenza che annullava il voto, è stato di avallare un risultato ingannevole, lasciando che venisse data legittimità a un governo fantoccio rappresentato nei fatti dal generale Haftar e dal suo avatar, il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi.
Khalifa Haftar è già sostenuto militarmente in maniera diretta dall’Egitto di al-Sisi che a sua volta conta sull’appoggio della Francia, della Russia e soprattutto sul sostegno finanziario dell’Arabia Saudita, tutte potenze che già vendono e acquistano armi a piene mani senza badare agli embarghi.
L’obiettivo di questa coalizione è combattere l’Isis ma soprattutto far fuori i Fratelli Musulmani, nemici giurati del Cairo e di Riad. La Francia ha un ruolo importante per le forniture di armi all’Egitto – ha appena venduto caccia Rafale al Cairo per 5 miliardi di euro – mentre Mosca ha stretto importanti patti di assistenza militare con al-Sisi e Putin è stato accolto dalla stampa ufficiale egiziana «come un eroe dei nostri tempi».
Sul fronte opposto c’è il governo di Tripoli rappresentato dal fronte islamico di Alba Libica alleato con le milizie della città di Misurata. Questa coalizione conta sul sostegno di Qatar e Turchia, schierate con i Fratelli Musulmani contro Egitto e Arabia Saudita.
Una guerra tra musulmani e all’interno del mondo sunnita dove la posta in palio è ideologica, religiosa e naturalmente petrolifera, legata alle ingenti risorse della Libia e al futuro geopolitico del Nordafrica e del Medio Oriente.
Noi dove stiamo? Non si sa bene. Nel 2011 siamo stati colti di sorpresa dalla rivolta di Bengasi e dai raid di francesi e anglosassoni, adesso tendiamo a favorire i negoziati dell’Onu tra le parti e siamo impreparati davanti alle richieste di Haftar e dell’Egitto. I richiami del governo all’Onu però paiono una foglia di fico davanti a una guerra dove l’Italia non ha uno schieramento e un obiettivo, se non mantenere aperti i rifornimenti di gas dalla Tripolitania.
Paghiamo il 2011 e l’errore di avere dato supinamente le basi Nato partecipando alla guerra contro Gheddafi senza contropartite di alcun genere: né energetiche né sulla sicurezza. E qual è ora il risultato delle missioni a Mosca e al Cairo del nostro presidente del Consiglio? Siamo davanti all’aut-aut posto da un ambiguo generale libico. Qualcuno si sente di firmare accordi con il generale Haftar? E con quali garanzie? C’era una volta la Libia, ora c’è un’ex Libia che pesa sul nostro presente e sul futuro.