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 2015  marzo 11 Mercoledì calendario

I fotografi non sono cecchini che campano sui peccati degli altri. Quelli si chiamano ricattatori. E non è lo stesso mestiere

Poche attività sono più disgustose del ricatto fondato su immagini private rubate o estorte. Per quanto usurpata possa essere la fama dei cosiddetti vip, nessuno merita di dover pagare fior di quattrini per evitare di essere sputtanato per la propria condotta privata su uno dei (tanti) giornali, di carta come online, disposti a farlo. E se la parte meno evoluta dell’opinione pubblica gongola per ogni cosiddetto vip messo alla gogna, e pensa che “se l’è andata a cercare” (come molti andreottismi, il concetto è popolare), non altrettanto accade per quei paparazzi e quei ricettatori di immagini che, loro sì, le vittime se le vanno a cercare, le braccano, le tormentano, spesso (vedi la recente vicenda che ha coinvolto Lapo Elkann) gli costruiscono attorno la scena del delitto per poterle “incastrare” nel momento di massima debolezza.Le vite degli altri, memorabile titolo di un memorabile film sulla Germania Est, introduceva nel meccanismo dello spionaggio lo scrupolo del sorvegliante e infine la sua crisi morale: a furia di spiare “le vite degli altri” finiva per sentirsene partecipe e responsabile. Non è lecito sperare altrettanto dal paparazzo “beccato” a sua volta dalle telecamere della polizia (chi la fa l’aspetti) mentre intascava i quattrini dal ricattato. Ma almeno smettiamola di chiamare “fotografo dei vip” ogni cecchino che campa sui peccati degli altri, magari incapace di permettersene in proprio. Non è un fotografo, è un ricattatore. E non è lo stesso mestiere.