Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  marzo 11 Mercoledì calendario

La rivolta di Bangkok. La polizia birmana carica a bastonate studenti, picchia e arresta monaci, giornalisti e passanti. Senza guardare in faccia nessuno. Cento feriti e altrettanti arresti. Tutto perché duecento giovani volevano bloccare la legge sull’istruzione del governo, considerata elitaria e irrispettosa della minoranze etniche. Legge, tra l’altro, approvata da Aung San Suu Kyi. Una ex eroina che ormai scende troppo spesso a compromessi

Sembra quasi un deja vù, la polizia birmana che carica a bastonate gli studenti, li costringe a salire sui blindati con le sbarre alle finestre, picchia e arresta monaci, giornalisti e passanti. Invece è successo ieri in tempi di pace e apparente democrazia, in una città di nome Letpadang a tre ore di auto da Rangoon verso nord, nella divisione di Mandalay. A scatenare la reazione vecchio stile degli agenti – terminata con oltre 100 feriti e altrettanti arresti – è stato un nucleo di oltre 200 giovani che sta tentando da giorni di proseguire una marcia di protesta verso la ex capitale per bloccare e cambiare la legge sull’istruzione del governo, considerata elitaria, controllata dall’esecutivo e irrispettosa dei diritti delle minoranze etniche ad avere un proprio curriculum. A rendere la protesta particolarmente significativa è il fatto che la legge contestata è stata approvata in Parlamento nel settembre scorso anche con il voto favorevole dell’opposizione, e quindi della ex eroina degli studenti del 1988, Aung San Suu Kyi. E la leader dell’Nld ha più volte invitato gli studenti a «trattare con il governo», perché «se si vuole la democrazia ci deve essere sempre una trattativa, con dare e avere: la soluzione dei problemi non è solo unilaterale». Ma l’auspicio della Lady si è rivelato impossibile da mettere in pratica, con il rifiuto del governo di accettare l’ipotesi di un comitato per le riforme della legge rappresentato anche dagli studenti. Tra i giovani è prevalsa così la linea della rivolta e da varie città cortei di centinaia di ragazzi e ragazze hanno tentato di marciare lungo diverse direzioni verso Rangoon: la testa del corteo era appunto a Mandalay, a 650 km dalla capitale, ma non ha mai superato i blocchi di polizia. Dopo aver tentato di rimuovere il filo spinato piazzato dalla polizia, gli studenti – molti dei quali con bandane e magliette col pavone combattente, simbolo pre-coloniale della resistenza birmana usato anche dall’Nld – sono stati attaccati a colpi di scudi e bastoni e dispersi, con decine di feriti, alcuni dei quali picchiati anche a bordo delle ambulanze.Poi è cominciata una caccia all’uomo fin dentro le stanze del monastero dove erano ospiti, e molti di loro sono stati legati con delle corde in attesa di essere portati via, compresi diversi monaci simpatizzanti. Lo stesso è successo ad alcuni giornalisti birmani giunti sul posto a raccontare l’evento.Una condanna per l’uso brutale della forza contro una dimostrazione pacifica è stata espressa anche dalla delegazione dell’Ue. Ma le autorità sembrano intenzionate a continuare con la linea dura, accusando i ribelli di violare le leggi della quiete pubblica. Nei rapporti di polizia si cita il caso di un incidente avvenuto nell’università di Myingyan, dove gli studenti avrebbero tirato giù la bandiera nazionale per sostituirla con il vessillo del pavone.La situazione ora sembra giunta a un punto cruciale, e sempre ieri un’altra manifestazione organizzata a Rangoon in solidarietà con le proteste di Letpadan è stata attaccata dalla polizia e uno studente arrestato.