Corriere della Sera, 11 marzo 2015
Ecco come cambia il Parlamento con questa riforma: verso la fine del bicameralismo perfetto. E poi la riduzione del numero dei senatori, il rafforzamento dei poteri del governo, la revisione del Titolo V con un rafforzamento della legislazione statale su quella regionale
La riforma Renzi-Boschi prevede il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei senatori (da 315 a 100, non più eletti dal popolo), il rafforzamento dei poteri del governo (i ddl dell’esecutivo dovranno essere votati entro massimo 70 giorni), la soppressione del Consiglio nazionale dell’Economia e del Lavoro. Nonché la revisione del Titolo V con un sostanziale rafforzamento della legislazione statale su quella regionale. Le Province cancellate anche dalla Costituzione.
Il Senato dei cento a elezione indiretta
Nel Senato dei 100 – che in principio Renzi aveva immaginato come un’assemblea dei 100 sindaci – siederanno 74 consiglieri regionali (compresi quelli eletti dalle Province autonome di Trento e Bolzano), 21 sindaci (non necessariamente quelli delle grandi aree metropolitane) e 5 senatori a vita nominati dal presidente della Repubblica. Tra i 100 senatori, nell’interpretazione renziana ci sono poi anche gli ex capi di Stato. All’appello mancano i governatori delle Regioni che non entreranno d’ufficio nel nuovo Senato ma dovranno conquistarsi i voti nei consigli regionali di cui fanno parte. Ad ogni Regione, comunque, verrà assegnato un numero di senatori proporzionale alla propria popolazione.
Quello della composizione del nuovo Senato è un capitolo chiuso. Si è molto battagliato in commissione e in Aula ma ora il testo dell’articolo 2 varato ieri dalla Camera è lo stesso che fu votato l’8 agosto dal Senato: lettura doppia conforme, per cui, almeno su questo punto, indietro non si torna.
Legge elettorale, Consulta in campo
Per evitare altre bacchettate della Consulta – che circa un anno fa bocciò il «Porcellum» – il Parlamento ha aggiunto al testo Renzi-Boschi il controllo preventivo di costituzionalità sulla legge elettorale. Su richiesta di un quarto dei deputati (da inoltrare entro i 10 giorni successivi all’approvazione della legge elettorale), ci sarà a monte un test di legittimità costituzionale che, grazie a un emendamento
di Andrea Giorgis (Pd), potrà riguardare anche l’Italicum in un primo momento escluso dal governo da questo tipo di meccanismo. Dopo mesi di trattativa con la minoranza del Pd, il ministro Boschi e il relatore Fiano hanno dato via libera a due emendamenti Dem: il primo abbassa, da ⅓ a ¼, la quota di deputati necessari per richiedere il controllo preventivo di costituzionalità della legge elettorale, mentre
il secondo estende la procedura di verifica preventiva anche all’Italicum. Il meccanismo scatterà anche se (come è probabile) la nuova legge elettorale verrà approvata prima della riforma costituzionale.
La Camera perno dell’iter legislativo
Con la fine del bicameralismo paritario, Camera e Senato non avranno più lo stesso peso specifico nel processo legislativo. La Camera (630 deputati eletti a suffragio universale) assume il ruolo di unica camera politica (quella che concede e revoca la fiducia al governo) mentre il Senato (100 membri di cui 95 nominati con elezione di secondo grado) partecipa al procedimento legislativo con armi spuntate. Ci saranno tre corsie lungo le quali si svilupperà il procedimento legislativo: la prima, «bicamerale», riguarda le leggi costituzionali, la legge elettorale i provvedimenti che incidono sulla vita degli enti locali, i testi che incidono sul funzionamento delle Regioni (articolo 122 Costituzione). Il secondo percorso è quello standard: la Camera approva, il Senato modifica, la Camera poi ha l’ultima parola. Terza ipotesi: il Senato esercita la clausola di supremazia su materie riservate alle Regioni. In questo caso, se il Senato modifica il testo della legge, la Camera in seconda battuta delibera a maggioranza assoluta.
Paletti alle Regioni: più poteri allo Stato
Una parte molto importante della riforma, ma poco conosciuta, incide sul Titolo V della Costituzione. Cioè sui rapporti tra centro e periferia. Le Province vengono cancellate anche dalla Costituzione. E, soprattutto, nella ripartizione della funzione legislativa tra Stato e Regioni viene meno la legislazione concorrente (quella che tanto contenzioso ha creato in questi anni davanti alla Consulta) con un numero più consistente di materie riservate al potere centrale. La Camera ha allungato l’elenco delle materie di stretta competenza statale, aggiungendo la promozione della concorrenza, le politiche sociali e per la sicurezza alimentare, le piattaforme informatiche dell’amministrazione statale, regionale, locale.
Viene introdotta poi la cosiddetta «clausola di supremazia»: su proposta del governo la legge dello Stato può intervenire in materie non riservate alla legislazione esclusiva quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela dell’interesse nazionale.