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 2015  marzo 11 Mercoledì calendario

Processo Ruby, per Silvio Berlusconi assoluzione definitiva. La Corte di Cassazione si è pronunciata nella notte dopo nove ore di camera di consiglio. La Procura generale aveva chiesto la condanna. Ma gli avvocati: sentenza inattaccabile

Assoluzione confermata, storia giudiziaria finita. Silvio Berlusconi non ha commesso i reati di concussione e prostituzione minorile nella vicenda di Ruby, la diciassettenne marocchina ospite delle serate di Arcore. Storia finita con un verdetto contrastato, pronunciato a mezzanotte, sul quale quasi certamente i cinque giudici della sesta sezione penale della Corte di cassazione si sono divisi nelle oltre nove ore di camera di consiglio. Il sostituto procuratore generale aveva sollecitato la scelta contraria: annullare l’assoluzione, ripristinare la condanna decisa in primo grado e rispedire il fascicolo a una nuova Corte d’appello per rideterminare la quantità della pena. Senza però convincere i magistrati di legittimità, chiamati a valutare solo la correttezza giuridica dell’assoluzione sancita l’estate scorsa dai giudici di secondo grado.
Per l’accusa era dimostrato che la telefonata dell’allora presidente del Consiglio al capo di gabinetto della Questura di Milano Piero Ostuni costrinse quest’ultimo a consegnare Karima «Ruby» El Mahroug alla consigliera regionale Nicole Minetti. «Ci fu abuso costrittivo», ha sostenuto il pubblico ministero, che provocò «una serie di corruzioni a catena», dal capo di gabinetto in giù. Perché l’ordine ricevuto da Berlusconi di lasciar andare la ragazza («subito restituita al mestiere più antico del mondo») ha condizionato il buon funzionamento della Pubblica amministrazione. Attraverso decisioni non libere e fuori da ogni procedura, imposte da una telefonata «alla quale il capo di gabinetto non ha potuto rispondere “presidente, è mezzanotte, ne parliamo domani”, perché non aveva alcuna possibilità di resistere».
La ricostruzione del pm è stata quasi spietata nell’indicare «una violenza grave, perdurante e irresistibile» esercitata dal premier attraverso implicite minacce che hanno paralizzato la volontà dei funzionari. Con una «potenza di fuoco tale da annullare ogni capacità di scelta alternativa», compromettendo in modo irreversibile l’esercizio delle funzioni» di Ostuni e dei suoi sottoposti.
Considerazioni fuori tempo massimo, hanno ribattuto gli avvocati. Argomenti già affrontati e superati dal verdetto d’Appello che aveva negato questa impostazione e assolto l’imputato. «Sentenza inattaccabile sul piano del diritto – ha spiegato l’avvocato Filippo Dinacci, difensore dell’ex premier insieme a Franco Coppi – al punto che la Procura generale ha tentato di smontarla sul piano del merito, perché evidentemente non aveva altra strada. Ma questo non si può fare, la discussione sul fatto è chiusa. Perciò il ricorso è inammissibile, prima ancora che infondato».
Tuttavia la lettura dei fatti diventa pressoché inevitabile quando si parla di sentenza erroneamente motivata, visto che lo sbaglio sarebbe nel sezionare i fatti tra loro anziché leggerli in modo coerente, uno legato all’altro. È quello che riteneva di aver fatto il pm; è ciò che avevano già fatto i giudici d’Appello, ha sostenuto la difesa. E ora la Cassazione l’ha ribadito. «È la vittoria del diritto» commenta l’avvocato Dinacci.