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 2015  marzo 10 Martedì calendario

Con Yik Yak l’insulto è anonimo e gratuito. È un’app dove chiunque può dire ciò che vuole e i messaggi sono ordinati per prossimità geografica. La frontiera tra la libertà d’espressione e la diffamazione

 Da un lato i dibattiti sulla privacy, dall’altro il prezzo dell’anonimato. Cosa comporti, e quanto costi in termini sociali, se lo stanno chiedendo in molti. Per ogni identità protetta, ce ne potrebbe essere un’altra che riceve minacce o molestie. Al centro delle polemiche negli Stati Uniti c’è Yik Yak, un’applicazione che garantisce l’anonimato ai suoi utenti. Il meccanismo è quello che si trova in molte altre app, da Whisper in poi: segretezza degli utenti, e prossimità geografica. Yik Yak infatti, come molti altri social network, prende piede nelle comunità studentesche – vedi Facebook, ma anche Tinder – che sono terreni fertili sia in fase di ideazione, che di verifica del funzionamento dei prodotti. Yik Yak ordina i messaggi per prossimità geografica, e quindi assume la forma di una grande bacheca dove, nelle comunità studentesche, si finisce per scambiarsi pareri, spesso e volentieri critiche, ai docenti, ma non solo. Il New York Times ha raccolto le testimonianze di due donne che hanno visto il loro nome comparire in decine di messaggi sul social network. Margaret Crouch, docente alla Eastern Michigan University ha mandato allo staff accademico molte mail, con tanto di screenshot allegati: “Sono stata diffamata e la mia reputazione infangata. Sono stata molestata sessualmente e vittima di abusi verbali”, ha scritto il suo rappresentante sindacale. “Sono quasi pronta per assumere un avvocato”.
Una studentessa del secondo anno al Middlebury College, Jordan Seman, durante la pausa pranzo ha letto un commento sessuale a lei riferito che la descriveva come un “ippopotamo”.
   E le università, o i licei, cosa possono fare? A parte vietare l’accesso all’app dalle proprie reti wi-fi, non molto, salvo avere un mandato da un qualche tribunale, o un ordine di perquisizione per un rischio imminente. Senza contare che anche senza wi-fi, la cui limitazione già si muove sul periglioso terreno della libertà d’espressione, gli studenti possono sempre accedere all’app sfruttando il proprio traffico dati. Gli ideatori si sono anche mossi con iniziative, da una serie di “recinti virtuali” che ne impediscono l’accesso in prossimità delle scuole, all’innalzamento dell’età minima per l’utilizzo.
   Ma il punto, come sempre, non sta solo nel mezzo: è come si usa che fa la differenza, e quello non dipende certo dalle caratteristiche tecnologiche, quando da una necessaria educazione ai nuovi media (e a un’altra serie di interventi). “È un problema di cultura di Internet in generale, ma quando a questo si aggiunge una dimensione iper-locale, il tutto assume una dimensione più inquietante”, ha detto al NYT Elias Aboujaoude, psichiatra di Stanford. “Non sai da dove venga l’aggressione, ma sai che è molto vicina”. C’è chi si muove in direzione opposta: Twitter per esempio, che perfeziona continuamente le funzioni di report contro spammer e molestatori. In Italia, contro la violenza sulle donne, c’è l’app di Sos Stalking.