la Repubblica, 10 marzo 2015
Il punto sul processo Ruby e le sei toghe che decideranno il destino di Berlusconi. Il verdetto è atteso per questa sera
Arrivano in Corte di Cassazione le «cene eleganti» di Arcore con annesso bunga bunga. Tocca ai supremi giudici affrontare oggi alle 10,30 circa i due temi. La concussione (la telefonata di Silvio Berlusconi in Questura per far liberare Ruby Rubacuori, una diciassettenne scappata da una comunità di recupero). E la prostituzione minorile: essere o no cliente consapevole di una minorenne (sempre Ruby). Questa volta il nome di Silvio Berlusconi – che guarda con trepidazione alla sentenza, anche per le note ragioni di agibilità politica – è destinato ad entrare negli annali giudiziari.
CONDANNA E ASSOLUZIONE
Esistono infatti questioni di diritto molto importanti legate al caso Ruby-Silvio. Come si ricorderà, Berlusconi (difeso dal tandem Ghedini-Longo) era stato condannato in primo grado a sette anni (sentenza di Giulia Turri, Orsola De Cristofaro e Carmela d’Elia, depositata il 21 novembre 2013). Meno di un anno dopo, difeso da Coppi e Dinacci, era stato assolto in appello (sentenza depositata il 16 ottobre 2014). Assolto sia dall’accusa di concussione («perché il fatto non sussiste) e sia da quella di prostituzione minorile («il fatto non costituisce reato»). Una sentenza clamorosa, che aveva spinto alle dimissioni il presidente, Enrico Tranfa, in disaccordo con i giudici Alberto Puccinelli e Concetta Locurto. Una decisione inedita, durissima, presa «dopo un viaggio a Lourdes», in nome «dell’eguaglianza di tutti davanti alla legge», senza una parola ufficiale.
LA TELEFONATA «COGENTE»
Un punto chiave della questione è «la telefonata». Berlusconi, è noto, chiama da Parigi, intorno alla mezzanotte del 27 maggio 2010, e avvisa che sta mandando in Questura la consigliera regionale, ma spogliarellista nelle notti di Arcore, Nicole Minetti, per la «nipote del presidente egiziano Moubarak». L’accusa, e anche i giudici di primo grado, individuano nella frase detta a Pietro Ostuni, capo di gabinetto della Questura – «Abbiamo un problema», che significa per i magistrati «Tu hai un problema» – la «natura cogente della richiesta preveniente da Berlusconi», e cioè la concussione.La Corte d’Appello, viceversa, non scorge alcun «significato minatorio» nei contatti telefonici. Anzi, scarica sul «timore reverenziale, compiacenza o timore autoindotto» del questore vicario la responsabilità di aver fatto uscire dalla Questura la minorenne invitata alle pornofeste.
L’ABUSO E IL VANTAGGIO
Anche per i giudici che l’assolvono è innegabile che Berlusconi «abusò della sua qualità di presidente del Consiglio, simulando un interesse istituzionale al rilascio di Karima El Mahroug (...) per fini personali». Per lui era vitale non subire lo scandalo, Ruby evita il rientro in comunità, entrambi ricevono dunque l’«indebito vantaggio non patrimoniale». Nemmeno questo basterebbe per la concussione, sarebbe soltanto Ostuni, «improvvidamente sbilanciandosi ad assicurare l’affidamento» di Ruby, a esercitare – sostiene chi ha assolto l’ex premier – «un’insistente pressione acceleratoria» sulla funzionaria di turno, la dottoressa Giorgia Iafrate.
LA FRASE MANCANTE
La Procura generale ha contrattaccato con 61 pagine di ricorso in cui spicca una frase, quella che il questore vicario Ostuni non ha mai detto alla Presidenza del Consiglio: «Rassicurate il presidente, la minore fermata e portata in questura non è egiziana, e tantomeno parente del presidente egiziano. È una giovane marocchina (...) Oltretutto il pubblico ministero dei minori (...) temendo che potesse prostituirsi, ne ha disposto, a tutela della sua persona, il collocamento in comunità». Erano bastati appena sette minuti a Ostuni, dopo la telefonata con Parigi, per apprendere la verità dei fatti. Quindi la spiegazione di chi chiede la condanna è lineare: il poliziotto s’è sentito senza via d’uscita. Concusso. Infatti «la benevolenza» di Berlusconi sarebbe per Ostuni una molla importante, perché è «foriera potenzialmente – come dice la stessa Cassazione – di futuri favori». Ma se si considerano i fatti uno per uno, l’assoluzione nasce – così dice la Procura generale – da «una vera e propria amputazione del quadro probatorio».
LA PROSTITUZIONE MINORILE
Complesso il discorso anche sull’altro reato: molto si gioca sul fatto che Berlusconi poteva sapere oppure no della minore età di una ragazza come Ruby. A favore del «sì, lo sapeva» ci sono numerose prove logiche (l’aveva conosciuta in Sicilia Emilio Fede; Ruby «lavorava» con Lele Mora; la stessa Ruby racconta di non aver avuto una casa in affitto gratis, come le altre «olgettine», perché era minorenne). Anche nelle telefonate intercettate, Ruby stessa spiattella come Berlusconi sapesse di avere a che fare con una minorenne. Può bastare? O no? È alla sesta sezione penale, presieduta da Nicola Milo, con relatore Orlando Villoni, e pubblica accusa sostenuta da Eduardo Scardaccione, che tocca oggi dare risposte. Con una sentenza che, in ogni caso, farà «giurisprudenza».
Piero Colaprico
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Dopo Mediaset ecco Ruby. Stesso piano del palazzaccio di piazza Cavour, il secondo, dove sfilano gli ermellini col tocco rosso per aprire l’anno giudiziario. Mediaset, nel torrido agosto 2013, si svolse nell’aula Brancaccio. L’ultima pièce del processo Ruby avrà come sfondo una grande stanza senza nome. La conoscono tutti come «quella della sesta sezione penale». Oggi lì, dalle 10, si fronteggeranno giudici di grande esperienza giuridica sul tema della concussione/induzione, e l’agguerrita difesa di Franco Coppi e Filippo Dinacci, due volpi del diritto. Una battaglia che, stando ai boatos della Corte, dovrebbe chiudersi già stasera. Con quale esito è impossibile da prevedere, anche perché sia i cinque componenti delcollegio, sia il sostituto procuratore generale già ieri hanno interrotto i rapporti col mondo esterno. Un fatto è certo. Per un processo come Ruby, dove ha dominato la querelle su concussione/induzione, non si poteva immaginare collegio migliore. Il presidente Nicola Milo si può considerare il giudice della Suprema corte più esperto sulla materia. È stato lui, nell’ottobre del 2013, il relatore di fronte alle Sezioni unite su quale fossse l’interpretazione autentica della legge anti-corruzione dell’ex Guardasigilli Paola Severino nel capitolo più contestato, lo “spacchettamento” della concussione. Considerato dai colleghi come un «giurista di fama e di grande onestà intellettuale», Milo ha seguito casi famosi come Why not di De Magistris, e come i processi Andreotti e Mannino finiti con l’assoluzione.Eccoci al relatore, che oggi parlerà per primo illustrando il caso. È Orlando Villoni, ex gip di Roma, da un paio d’anni a piazza Cavour, toga di Magistratura democratica, «ma con una decisa fama di garantista» dicono i colleghi con cui a lavorato a piazzale Clodio. Di Md è pure il sostituto pg Eduardo Scardaccione, che sosterrà l’accusa contro Berlusconi. Al Palazzaccio dagli anni dei processi contro Craxi e Martelli per la maxi-tangente Enimont (nel ’98 chiese che fossero confermate le condanne), di recente Scardaccione ha prospettato al Csm di radiare il giudice Edi Pinatto, “colpevole” di aver aspettato otto anni per depositare una sentenza. Sarà interessante sentire se chiederà la conferma dell’assoluzione per Berlusconi o il rinvio del processo a Milano.Tre giudici affiancano Milo e Villoni. Tutti e tre molti noti. Giorgio Fidelbo, vice direttore del Massimario, l’ufficio della Corte che studia le sentenze, esperto come Milo sulle contraddizioni della legge Severino. Gaetano De Amicis, ex del Massimario, esperto di diritto europeo e autore di articoli sull’arresto europeo. Infine Stefano Mogini, una toga super nota. Capo di gabinetto dell’ex Guardasigilli Mastella, prima a Parigi come magistrato di collegamento con l’Italia e poi nella delegazione Onu di New York. Anche lui, da co-presidente del gruppo anti-corruzione del G20, ha studiato i nodi della concussione. I difensori di Berlusconi Coppi e Dinacci dovranno dimostrare che effettivamente a Milano hanno fatto bene ad assolvere l’ex premier.
Liana Milella