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 2015  marzo 10 Martedì calendario

Il Califfato sta perdendo terreno, non riesce a creare le strutture efficienti che aveva promesso, e in più i militanti litigano tra loro. L’indebolimento dell’Isis

Dedicano troppo tempo a uccidere e punire chi disobbedisce alle loro leggi draconiane, che non a creare le strutture dello Stato e a conquistare la lealtà dei popoli sottomessi. Siamo ancora lontani dal poter dire che siano stati sconfitti, ma ci sono i primi incontestabili segni che i miliziani del Califfato islamico stanno perdendo colpi. Vari reportage testimoniano che la loro aureola di invincibilità si è appannata e che cominciano addirittura a litigare fra di loro. Un lungo servizio comparso ieri sul Washington Post rafforza e amplia il quadro che era stato dipinto anche dalla Reuters e dal Syrian Observatory on Human Rights, e che viene confermato dal Pentagono, e cioè che il Califfato sta perdendo terreno e sostegno ai margini del suo territorio, mentre non riesce a creare le strutture efficienti che aveva promesso, e va indebolendosi per i contrasti interni.
Nelle ultime settimane l’Isis si è visto rintuzzato con perdite non solo dai curdi nel nord della Siria e nel nord dell’Iraq, ma anche da un’alleanza fra le forze governative irachene e le milizie sciite filo-iraniane che in Iraq stanno tentando di riconquistare la città di Tikrit. Nel frattempo, i bombardamenti della coalizione guidata dagli Stati Uniti hanno danneggiato gli impianti del petrolio, tagliando drasticamente gli introiti che il Califfato traeva dal contrabbando. Ma su tutto ciò sembra dominare la crescente frattura ideologica che separa i combattenti indigeni da quelli arrivati da altri Paesi. Ci sono perfino stati scontri armati fra le falangi dell’Isis e i volontari ceceni e kuwaitiani.
DUE CATEGORIE
Apparentemente, i volontari che vengono dall’estero si dividono in due categorie: centinaia di giovani, anche arrivati dall’Europa, erano confluiti in Siria per combattere contro il regime dittatoriale di Assad, ma sono stati scoraggiati dalla brutalità anche peggiore del Califfato, e vorrebbero scappare. Altre centinaia erano attirati dall’idea di vivere “puramente” im una società totalitaria islamica e non hanno voglia di andare in prima linea: si appassionano nel perseguitare gli infedeli, i gay, le donne che non si coprono il corpo, e la guerra preferiscono non vederla. A loro vengono assegnati gli appartamenti nelle città, dove i bombardamenti sono rarissimi (per il rischio di uccidere cittadini innocenti). Invece nelle aree più esposte alle bombe, cioè nelle campagne, nelle basi militari strappate ai siriani e agli iracheni, nei pozzi di petrolio, vengono dislocati i combattenti locali, che infatti vengono uccisi a centinaia. Contro di loro si stanno organizzando anche bande di “resistenti”. I guerriglieri dell’Isis cioè sono a loro volta attaccati da guerriglieri locali che non condividono la loro visione dell’Islam: due giorni fa 12 jihadisti sono stati uccisi in due attacchi nella cittadina di al-Myadin, al confine della Siria con l’Iraq. Vari testimoni sostengono anche che si moltiplica il numero dei combattenti stranieri che tentano di fuggire. Dalle testimonianze raccolte al confine fra Siria e Turchia, si sa che decine di giovani jihadisti hanno attraversato il confine in senso inverso. Ma molti sono stati presi prima di riuscirci e ultimamente almeno 120 sono stati impiccati per diserzione.