Libero, 10 marzo 2015
Filippo Facci: «In giro c’è un malato di mente che di professione decide della libertà altrui. È un magistrato affetto da un serio disturbo bipolare e il Csm si limita a traferirlo da un ufficio all’altro per la disperazione di avvocati, cancellieri, indagati e mia. Perché non posso scriverne»
Faccio un esempio. Sono a conoscenza del caso di un magistrato affetto da un serio disturbo bipolare: serio vuol dire serio, non una depressione stagionale; roba da farmaci pesanti, da interventi chirurgici per disturbi alimentari autoinflitti e da assenze frequenti nei due dipartimenti in cui lavora. Essendo il suo un caso disperato – parlo degli effetti sulla sua attività – il Csm ne ha preso atto, ma si è limitato a fare come sempre: trasferirlo da un ufficio all’altro. In sostanza c’è una persona mentalmente instabile che di professione decide della libertà altrui: per la disperazione degli avvocati, dei cancellieri, degli assistenti, dei due capi-dipartimenti e, se non disturba, degli indagati che patiscono le sue decisioni. In minor grado c’è anche un’altra persona disperata: sono io, perché non posso scriverne. Il Csm, con lettera del 27 agosto 2008, ha invocato la legge sulla privacy per impedire che vengano nominati i magistrati condannati dalla propria sezione disciplinare: cioè gente che – cito sentenze a caso – ha dimenticato innocenti in carcere, ha perso fascicoli e anni di lavoro altrui, semplicemente non lavora oppure ecco, è mentalmente instabile. Ce n’è uno che è visto chiedere l’elemosina per strada, un altro ha spalmato l’ufficio di nutella, un altro ha urlato “ti spacco il culo” a un avvocato. La legge italiana prevede che vadano omessi i nomi dei minori, delle vittime di violenze sessuali e – prendiamo atto – dei magistrati. Poi dicono la casta.