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 2015  marzo 10 Martedì calendario

Bruxelles teme che Tsipras non riesca a reggere sotto il peso delle promesse elettorali irrealizzabili. Un timore che a tratti sfocia nell’angoscia di vedere andare in fumo anni di lavoro con i governi precedenti, con riforme che bene o male stavano portando qualche risultato

Non solo il no dell’Eurogruppo, ma anche quello della Commissione europea. Il piano del governo greco inviato a Bruxelles giovedì per convincere le “istituzioni” ad erogare la tranche di 7,2 miliardi di euro già prevista da secondo piano di salvataggio è stato accolto dalle forti critiche dell’esecutivo.
Per capire qual è il clima aiuta l’espressione di «grande sorpresa» che ha suscitato l’idea di arruolare studenti e turisti per combattere l’evasione fiscale. In un linguaggio meno felpato la cosa viene definita quanto meno «bizzarra». Questo per dire che le 11 pagine recapitate a mezzo stampa qualche giorno fa da Atene alle “3i” (come con amara ironia i funzionari di Bce, Commissione e Fmi si definiscono dopo che i greci hanno messo al bando la Troika) non hanno fatto altro che aumentare la preoccupazione.
Domani riparte il confronto a livello tecnico tra le “3i” e il governo greco per proseguire o modificare le riforme chieste dai creditori. Non sarà semplice perché lo spoiling system imposto da Syriza-Anel è stato radicale e nei ministeri l’ex Troika non ha più interlocutori. Il guaio è che i nuovi arrivati non trovano con facilità sostituti affidabili e con competenze adeguate. I tempi, perciò, saranno lunghi e la scadenza di fine aprile è a rischio, anche per il sovrapporsi della pausa pasquale, cattolica e ordodossa.
A questo si collega un’altra ombra che da Bruxelles si allunga sul nuovo esecutivo di Atene: la comunicazione, sottolineata con fastidio prima di tutti da Mario Draghi e ieri anche da Moscovici per la Commissione e da Dijsselbloem per l’Eurogruppo. I vari annunci del premier Tsipras e del ministro Varoufakis stanno infastidendo non poco. Non tanto per le interferenze nella trattativa – finora irrilevanti visto che il confronto era congelato – quanto per il nervosismo che provocano nei mercati perché contribuiscono a dare l’idea di un’impostazione fragile delle riforme che il governo greco ha in testa. E via via che svanisce il fascino del coraggioso Davide ateniese che lotta contro il cattivo teutonico Golia, prende consistenza l’immagine un po’ dilettantesca dei nuovi leader greci. Tutto questo per dire che la preoccupazione più grande delle autorità europee è che il governo Tsipras non riesca a reggere la prova dei fatti e anziché scardinare i meccanismi del rigore imposto dai creditori, finisca per implodere sotto il peso delle promesse elettorali irrealizzabili e della realtà del mercato. Un timore che a tratti sfocia nell’angoscia di vedere andare in fumo anni di lavoro con i governi precedenti, con riforme che bene o male stavano portando qualche risultato, come le decine di migliaia di posti di lavoro creati in Grecia nel 2014 che hanno ridotto la disoccupazione dal 27,5 del 2013 al 26,5% (nello stesso periodo in Italia è cresciuta di 0,6 punti). Certo, è ancora più del doppio rispetto al 2010, ma il trend si era invertito e le riforme imposte dalla Troika, pardon, dalle “3i”, cominciavano smuovere la palude. Non è detto che risultati simili riescano a dare decisioni come quella di aumentare del 10% gli stipendi dei dipendenti della Dei, il monopolista pubblico dell’elettricità, in cui i sindacati conservano un potere enorme. «La strada per uscirne – è il ragionamento che si fa a Bruxelles, non senza autocritica – è lungo e faticoso soprattutto perché impone la perdita di molti privilegi, ingiustificati e insostenibili, accumulati in particolare dal ceto medio in cui rientrano i professionisti ma anche una larga fetta dei dipendenti pubblici, dai ministeri agli enti locali. Per non parlare dell’amministrazione fiscale, in cui la corruzione impedisce di dare certezza alle entrate, negli ultimi mesi compromesse anche da infelici decisioni legislative. «È un percorso difficile, non privo di errori, che chiede un mutamento profondo della cultura del paese. E per questo non ci sono bacchette magiche ma servono anni di lavoro e sacrifici che l’uscita dall’euro non risparmierebbe ai cittadini greci».