la Repubblica, 10 marzo 2015
Il partito di Renzi sbaraglia l’opposizione. L’occasione arriva con il voto sulla riforma costituzionale del Senato, una legge che finora è servita soprattutto a dimostrare l’inconsistenza degli anti-premier. E sulle macerie di Forza Italia nasce persino la corrente dei berlusconiani “renziani"
Oggi il “partito di Renzi” rischia di dilagare in Parlamento, ossia di sbaragliare il campo dei suoi oppositori più o meno improvvisati. L’occasione è propizia: il voto sulla riforma costituzionale del Senato, una legge che finora è servita soprattutto a dimostrare l’inconsistenza degli anti-premier.Tutto lascia supporre che a prevalere non sarà la maggioranza di governo e nemmeno il Pd. Prevarrà il “partito di Renzi”, appunto: quel singolare aggregatore che oggi funge da calamita politica e scompagina i gruppi, risucchiandone vari segmenti sotto la tenda del presidente del Consiglio. Nel Pd la riforma ha suscitato il ricorrente malessere della famosa minoranza bersaniana, ma al dunque non si capisce quale sia la strategia di questa corrente che il segretario, a ogni buon conto, ha già provveduto a indebolire e disarticolare.Quanto al centrodestra, il “partito di Renzi” può compiacersi del trionfo. Forza Italia non esiste più. Ce ne sono alcuni frammenti che occupano i banchi parlamentari e che al momento della votazione su una riforma fondamentale per l’equilibrio istituzionale si dividono in almeno quattro sotto-gruppi: chi vota «no» per un atto di estrema obbedienza verso il vecchio leader ritornato a casa da Cesano Boscone; chi si astiene; chi esce dall’aula; chi addirittura vota a favore, dimostrando quanto sia forte ormai il «renzismo », nuovo baricentro del sistema.È la fine ufficiale e quasi certificata, potremmo dire, del centrodestra come soggetto politico. Di più: è la conclusione senza possibilità di appello di una stagione cominciata nel 1994 e vissuta per lunghi anni nel segno di Berlusconi, anche se tale impronta si era dissolta già da qualche tempo. Se le cose andranno così, per il presidente del Consiglio sarà un punto di svolta. La riforma del Senato non è tanto significativa nel merito (permangono parecchi dubbi sulla composizione e l’utilità del nuovo organismo), quanto è essenziale come arma volta allo sfaldamento dei vecchi potentati della Roma politica.Il “partito di Renzi” scompagina e assorbe. Intorno ad esso si esercita il trasformismo più antico e la spregiudicatezza più moderna. All’interno del Pd la sinistra soffre, ma non ha una direzione di marcia. All’esterno, sulle macerie di Forza Italia nasce persino la corrente dei berlusconiani “renziani”. E i Cinque Stelle dissidenti, o una parte di loro, sono così pronti a entrare in maggioranza da pretendere addirittura un ministero. Probabilmente non lo avranno, non subito almeno, ma già averlo chiesto dimostra come è cambiata la scena.Il vecchio patto del Nazareno non solo è superato, è addirittura sublimato: nel senso che una parte di Forza Italia, la più intransigente, viene sospinta verso Salvini e diventa tributaria del capo leghista; mentre l’altra ala, quella rimasta fedele nonostante tutto alla logica pattizia, entra di fatto nell’orbita del premier. Una sorta di corrente esterna del partito trasversale che si avvia a dominare il Parlamento. S’intende che le trappole sono sempre possibili e Renzi dovrà guardarsi dall’eccesso di sicurezza. La storia è piena di leader politici, non meno astuti dell’ex sindaco di Firenze, che sono inciampati perché troppo sicuri di sé. Ma questo è già un altro affare.Per il momento il renzismo può celebrare il suo vero atto di nascita. Al di là dell’orizzonte resta Grillo, che i sondaggi danno sempre in discreta salute nonostante gli errori e le defezioni. E naturalmente resta Salvini con il suo disegno alla Le Pen che contribuisce non poco a frammentare la destra post-Berlusconi. Ilvo Diamanti ha ben spiegato come la Lega vincerà in Veneto nonostante il distacco del sindaco Tosi. Vincerà trascinandosi dietro una porzione consistente di Forza Italia, ma su posizioni aspre e radicali. Sarà con ogni probabilità una vittoria di Pirro, tale da rendere più complicata qualsiasi ricostruzione in tempi ragionevoli di una destra “di governo”, fondata su una cultura moderata ed europeista.