La Stampa, 10 marzo 2015
«Abbiamo quattro mesi e non c’è altro tempo da perdere». Così l’eurogruppo mette la Grecia alle strette e Yanis Varoufakis, criticato per la leggerezza del piano di riforme, mette sul tavolo tre nuove misure e ne promette altre «sette o otto»
L’appuntamento è per domani, a Bruxelles. Dopo il lungo e acceso duello verbale della vigilia, l’Eurogruppo ha partorito la data d’inizio della discussione tecnica sull’estensione del piano di salvataggio della Grecia. «Abbiamo quattro mesi e non c’è altro tempo da perdere», ha ammonito il presidente dei ministri dell’Eurozona, Jeroen Dijsselbloem, conducendo l’assalto a Yanis Varoufakis, criticato per la leggerezza del piano di riforme e invitato a rispettare le regole del gioco. Detto fatto: intesa di massima e via alla trattativa. «Nonostante la disinformazione dei giorni scorsi, le nostre proposte hanno avuto un’approvazione politica», ha rilevato il ministro ellenico. Un modo efficace per trasformare la crescente pressione in una notizia digeribile.
Sessione insolitamente breve, in realtà non c’era molto da dire. L’Eurogruppo ha cercato di focalizzarsi su come portare la Grecia fuori dal pantano del debito. Per dirla con l’italiano Padoan, si trattava «di arrivare al più presto a un incontro tecnico e verificare lo stato di avanzamento degli impegni greci». Lo hanno fatto cercando di non urtare i diretti interessati. L’unico a usare la parola «Troika» con riferimento ad Atene è stato il tedesco Wolfgang Schaeuble, non casualmente ma prima della riunione, nel corso della quale si è parlato di «istituzioni», frutto ingegnoso della rivoluzione semantica di Tsipras.
Varoufakis ha presentato la sua lista di misure, quella che al calcio d’inizio Dijsselbloem aveva definito «non completa», sottolineando che «si è perso tempo» e che «non si parla di esborsi sino a che il programma non sarà realizzato». Ovvero niente soldi Atene in marzo, per ora. Il greco ha parlato dell’insediamento di «un consiglio di bilancio» indipendente per vigilare sulla politica di spesa, e della lotta all’evasione. Ha promesso che metterà sul tavolo altre misure – «sette o otto», quietando la polemica. In cambio, ha ottenuto che «le istituzioni» si riuniscano «principalmente» a Bruxelles. Permetterà ad Alexis Tsipras di dire che la Troika è morta. Il premier, comunque, giovedì sarà a Parigi (Ocse) e venerdì incontrerà il presidente della Commissione, Juncker. Finché si negozia, in fondo, lo spettro di una crisi nell’Eurozona resta distante.
Non le perderanno di vista e non sarà l’unico a restare nel mirino. Più fonti riferiscono che nel corso dell’Eurogruppo il presidente della Bce, Mario Draghi, ha ribadito la preoccupazione che sia trascurata la regola debito nella valutazione dei comportamenti fiscali dei singoli paesi. Si riferiva in primo luogo alla Francia, anche se anche l’Italia ha beneficiato della flessibilità. «Applicare le regole alla lettera sarebbe stata una sconfitta autoinflitta», ha notato Padoan, perché «avrebbe fatto aumentare il debito invece che diminuirlo», danneggiando la ripresa. «Draghi ha detto che il patto è un’ancora di fiducia e deve mantenerlo», ha riassunto Dijsselbloem. Un monito utile. Anche nei tempi di flessibilità, perché nessuno si faccia prendere la mano e dimentichi, nei tempi meno duri, di controllare il cammino delle riforme e l’andamento dei conti pubblici.