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 2015  marzo 09 Lunedì calendario

Il giallista inglese Frederick Forsyth e il caso Nemtsov: «Trama troppo semplice, è scritta dal potere, i russi non devono fidarsi. Se fosse una spy-story i lettori capirebbero subito che c’è un tentativo di nascondere i colpevoli»

«È una trama che avrei potuto scrivere con la mano sinistra». Frederick Forsyth di gialli politici se ne intende: è l’autore di più di venti romanzi che ne hanno fatto il maestro del thriller internazionale, da “Il giorno dello sciacallo”, sul complotto per assassinare il presidente francese, a “Il vendicatore” e “La lista nera”, due dei suoi ultimi libri, sulla caccia ai terroristi di Al Qaeda. Ma il 76enne scrittore inglese non ha dubbi davanti alla piega che hanno preso le indagini sull’assassinio di Boris Nemtsov a Mosca, con l’incriminazione di un gruppo di ceceni: «Se fosse una spy-story, i lettori capirebbero subito che è un richiamo per le allodole, un tentativo di sviare dagli autentici responsabili. Solo che nella fiction generalmente poi i veri colpevoli saltano fuori. In questa storia, invece, ne dubito».
La sua impressione quale è?
«Chiunque venga accusato ed eventualmente condannato, c’è un dato di fatto che emerge con chiarezza sullo sfondo: l’ossessione del presidente russo, Vladimir Putin, nel non accettare critiche. Chi si mette contro di lui fa una brutta fine, questa è la regola: viene sbattuto in carcere, muore assassinato o comunque in circostanze controverse, misteriose».
E secondo lei è il caso anche di Nemtsov?
«Nemtsov era l’ultimo leader dell’opposizione russa di grande prestigio. Ce ne sono un paio di altri, ancora vivi: Gary Kasparov, l’ex-campione di scacchi, e Mikhail Khodorkovskij, l’ex-petroliere, ma entrambi risiedono all’estero e non si azzardano a tornare in Russia, almeno finché c’è Putin al potere. Io non dico che Putin abbia dato l’ordine di uccidere Nemtsov. Dico che ha creato una situazione in cui chi lo critica viene fatto scomparire, o muore o deve andare in esilio».
Eppure a Mosca sono stati incriminati alcuni ceceni per il suo omicidio.
«Ecco, già c’erano dettagli che facevano sospettare qualcosa di strano in questo omicidio: le telecamere a circuito chiuso che non funzionano, la polizia assente dalla Piazza Rossa, la sua ragazza tenuta nascosta per giorni dopo l’assassinio. Ci mancava soltanto la pista cecena. Tanto per rinfocolare l’odio della popolazione russa verso le minoranze del Caucaso e in particolare verso la regione separatista contro cui è stata combattuta una guerra lunga e sanguinosa».
Ma uno dei ceceni avrebbe confessato.
«Ci sono tanti modi per indurre un uomo a confessare qualsiasi cosa. Con la tortura. Con i farmaci. Con i ricatti, per esempio minacciando ripercussioni sui suoi familiari. Vorrei saperne molto di più, prima di fidarmi».
E un altro ceceno si sarebbe fatto saltare in aria piuttosto che venire arrestato.
«E magari poi ci diranno che è stato proprio lui a sparare. Molto conveniente: il killer è morto a sua volta e non potrà mai più dire quello che sa. Mi viene in mente l’omicidio di Kennedy, con Oswald ucciso due giorni dopo e poi l’uccisore di Oswald che muore in carcere tre anni più tardi. Diciamo così: fino a questo punto le indagini sulla morte di Nemtsov sono state una trama così scontata che, come romanziere, avrei potuto scriverla con la mano sinistra. I lettori avrebbero capito subito che non è la pista giusta. Solo che in questa storia, diversamente dai gialli della narrativa, i veri responsabili probabilmente non salteranno mai fuori».
Lei dove cercherebbe il killer?
«Penso che il killer sia un assassino professionista e che a quest’ora sia al sicuro ad almeno mille chilometri da Mosca a godersi la ricompensa per quello che ha fatto».
Dunque adesso cosa succederà?
«Niente, purtroppo. Un processo farsa per condannare i presunti colpevoli, suppongo, con l’obiettivo di rafforzare ulteriormente il consenso attorno a Putin. Il quale però un errore lo ha fatto. Credo che abbia sottovalutato la popolarità di Nemtsov. Le dimensioni della folla ai funerali e alle manifestazioni di cordoglio sono state massicce, superiori alle aspettative».
Potrebbe essere l’inizio di un movimento di protesta?
«È difficile. Il Cremlino ha il totale controllo dei media tradizionali, la tivù e i giornali più importanti. Soltanto Internet è relativamente libero. Ma soltanto la parte più giovane e progredita della popolazione ne fa uso. È un fuocherello acceso. Ci vorrà tempo prima che diventi un incendio».
Quindi non pensa che in Russia ci saranno cambiamenti tanto presto?
«Non credo, a meno che l’economia continui a peggiorare. Mosca ha in pratica solo due esportazioni che tengono in piedi il paese: petrolio e gas. Il formidabile ribasso del prezzo del petrolio è un problema per Putin. E anche le sanzioni approvate dall’Occidente per l’invasione dell’Ucraina gli danno fastidio. Ma l’Occidente è debole. La Germania e altri paesi hanno bisogno di Mosca per il proprio fabbisogno energetico. Non alzeranno mai veramente la voce. Solo i russi possono cambiare la Russia. E un giorno, quando avverrà, verremo forse a sapere chi ha ucciso Boris Nemtsov».