Corriere della Sera, 9 marzo 2015
Francesco Nitto Palma, ritratto del temuto presidente della commissione Giustizia del Senato che martedì se la vedrà con l’emendamento sul «falso in bilancio». Iroso, scostante, permaloso, «ma non mi sentirete mai usare parole forti e sgradevoli». Ha una memoria di ferro e quando vuole è anche ironico: «L’avverto: se scrive qualche sciocchezza sul mio conto, domani la chiamo e mi arrabbio di brutto». Ma non questa volta
Iroso, scostante, permaloso.
«Se il ritratto che suppongo stia per tracciare contiene accuse infondate, vorrei potermi difendere...».
Anche ironico, se vuole.
E con una memoria di ferro («È stato scritto che perdo regolarmente a Burraco con il senatore di Forza Italia Ciro Falanga: è una volgare menzogna messa in giro dalla senatrice del Pd Monica Cirinnà, che si diverte, evidentemente, a diffamarmi. La verità è che a volte vinco, a volte perdo»).
Poi rumore di forchette, tavolata in riva al mare, domenica pomeriggio.
Francesco Nitto Palma, 65 anni, ex magistrato, è il temuto presidente della commissione Giustizia del Senato: la commissione politicamente meno stabile, meno gestibile dell’intero Parlamento (tra i suoi componenti, alcuni personaggi straordinari: Carlo Giovanardi, Ncd, memorabile su temi come eutanasia, omosessualità, droga; Felice Casson, Pd, che fa Casson, civatiano con ostinazione; Lucio Barani, Gal, che sulla responsabilità civile dei magistrati aveva proposto, in caso di colpevolezza, dovessero chiedere scusa sulla pubblica piazza).
Nitto Palma li guida tutti – raccontano – con piglio quasi militare.
«Non esageri. Io mi limito ad applicare, in modo ordinato, il regolamento».
Lo conosce alla perfezione, e lo sa interpretare e usare. Questo spesso scatena ondate di panico a Palazzo Chigi: quando un emendamento arriva in commissione Giustizia, tutti sanno come entra, nessuno sa come esce.
Comprensibile l’apprensione di queste ore: domani, martedì, forse arriverà l’emendamento sul «falso in bilancio» (il governo avrebbe preferito andare direttamente al voto in Aula).
«Sulla faccenda, il presidente Pietro Grasso ha fatto il furbastro: dicendo che io gli avrei promesso tempi brevi. Ma io non ho fatto alcuna promessa. Dovrebbe sapere, Grasso, che in commissione non è previsto il contingentamento dei tempi».
Però lei è abilissimo a rallentare o accelerare.
«Mi vengono attribuite capacità che non ho. Del resto, anche sul mio carattere si fanno sciocche illazioni».
Ho scritto che è iroso, scostante e permaloso.
«Ho un carattere tosto come tutti quelli che ne possiedono uno».
È la stessa cosa che dice Renato Brunetta di sé.
«Sì, ma io non sono uno che parte per la tangente senza motivo. E, soprattutto, non mi sentirete mai usare parole forti e sgradevoli».
Lei è forse l’unico, tra i potenti di FI, a non essere inquadrato in qualche corrente.
«La mia idea è che Forza Italia esiste solo perché c’è Silvio Berlusconi. La sua leadership è indiscutibile. Ed è necessario, quindi, essergli leali. Punto. Io, perciò, rispondo soltanto a me stesso e a lui».
È forse anche questo uno dei motivi che le permette di gestire con severità i lavori della commissione che presiede?
«Guardi, si favoleggia troppo su questa commissione: le ricordo che il 95% dei provvedimenti vengono approvati all’unanimità. Se succede che non siamo d’accordo, è perché spesso, all’interno della commissione, si creano maggioranze alternative tra Pd e grillini... e qualcosa del genere si creerà, immagino, anche con il ddl corruzione».
Non mi ha risposto sulla sua severità: lei è molto severo, quasi autoritario.
«Ma chi le ha fatto una descrizione così stupida?».
La fonte deve restare segreta. Però la fonte ha anche aggiunto qualche aneddoto; il più divertente è questo: sembra che nel corso di una seduta notturna, durante il passaggio della «responsabilità civile» dei giudici a Palazzo Madama, Nitto Palma fu accusato da alcuni membri della sua commissione di essere stato sleale nei loro confronti. Era notte fonda, tra stanchezza e nervosismo volò qualche parola ruvida. A quel punto, profondamente indignato e offeso, Nitto Palma pretese che ciascun senatore prendesse la parola chiedendogli, formalmente, scusa.
Una volta disse: «Ho sfidato le Br e la mafia, figuriamoci se mi spavento più di qualcosa». Quattordici anni alla Procura di Roma (processo Moro, Frank Coppola, Santapaola, ma anche Gladio e Ustica). Dal 2001, deputato per il Cavaliere. Accolto in Transatlantico con il soprannome di «Toga azzurra». Sistematicamente ricordato per essere tra i promotori (2002) di una proposta di legge che reintroduceva l’immunità parlamentare (aiutino per Cesare Previti). Ministro della Giustizia nel governo Berlusconi IV.
«L’avverto: se scrive qualche sciocchezza sul mio conto, domani la chiamo e mi arrabbio di brutto».