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 2015  marzo 09 Lunedì calendario

Carla Marangoni, l’unica testimone rimasta dei giochi di Amsterdam del 1928. «Ci chiamavano le piccole italiane, dormivamo su una nave». È l’antenata di Simeoni e Pellegrini. A 12 anni vinse l’argento nella ginnastica nella prima Olimpiade aperta alle donne, la medaglia più antica del mondo. Oggi vive sola, fa 15 minuti di cyclette al giorno e rifiuta i premi

L’antipatica sta simpatica a tutti. Il mondo la cerca, lei lo rifiuta. Ha attraversato il secolo, con la sua indipendenza. E ora a cento anni, non vuole cambiare abitudini. Il selfie lo usa da sempre, anche da prima che lo inventassero. Solo che non lo condivide, è disconnessa. Non è sposata, non ha figli, non vuole incontri ravvicinati, nemmeno con la famiglia. «Per mia scelta». La ragioniera Carla Marangoni, così appare sull’elenco telefonico, è stanca di raccontare sempre la stessa storia: unica, eccezionale, ma molto passata. È l’antenata di tutte le campionesse italiane: di Simeoni, Pellegrini, Di Francisca. Ha fatto tutto prima di loro: a 13 anni, non ancora compiuti, ha vinto un argento olimpico nella ginnastica artistica a squadre. Ha guidato sulla strada e nella vita. È stata tra le prime donne in Italia ad avere la patente, anche quella nautica. Ora le vogliono dare medaglie, riconoscimenti, diplomi. Lei si nega. Rispedisce tutto al mittente. «Se li tengano». Nelle foto di gruppo, Amsterdam 1928, prima Olimpiade aperta alla donne, lei c’è e c’era. «Ma per carità, basta».
Miss Carla non vuole essere una grande reduce. Non sopporta la retorica dei sopravvissuti. Il suo Titanic a Cinque Cerchi non è affondato. Non le va il mito solo per l’anagrafe: nascita 13 novembre 1915. È la più antica testimone olimpica vivente. La medaglia più vecchia del mondo, l’unica che può raccontare dal vivo un’edizione anteriore al ’32. Di Johnny Weissmuller, il Tarzan di Hollywood, e del canottiere australiano Bobby Pearce che ad Amsterdam nei quarti si fermò per far passare una famiglia di anatre. Un altro sport, un’altra epoca. Anche perché Olga Toros, nata nel ’14, ginnasta ungherese, è scomparsa a febbraio. Così Carla è l’ultima superstite. Riottosa alla nostalgia, ricorda tutto perfettamente: «Il lungo viaggio in treno, era la prima volta che mangiavo in carrozza, le notti passate a dormire in quattro su una retina della cabina della nave Sagunto, attraccata in un canale, dato che il villaggio olimpico ancora non esisteva, il mazzo di fiori dato alla principessa Mafalda, lo scambio con la regina Guglielmina a cui dissi che giocavo anche a football, l’oro perso perché noi eravamo bambine, ci chiamavano le piccole italiane, le altre invece erano già donne, le olandesi vinsero con la musica, perché erano accompagnate dal piano, e noi no».
Ammorbidire la Carla è inutile. Abita a Pavia, al piano alto, in una strada accanto alla stazione. Risponde al telefono solo verso mezzogiorno. «Mi sveglio tardi». Vive sola. «Aspetti un attimo che devo correre in cucina, mi sta uscendo il caffè». Guai a portarle fiori freschi. «Non li sopporto». E a stuzzicarla sull’età. «Non esco più tanto, né arrampico, mi accontento di 15 minuti al giorno di cyclette». Una vecchia pazza? Macché. La ragioniera Carla sbraita, ma urla verità: «Andate ad intervistare i giovani, io non ho più niente da dire». In un paese dove ognuno si costruisce il suo monumento, Carla scende dal piedistallo. Due anni fa, prima dei Giochi di Londra, arriva sulle sue tracce il Financial Times: lei si mette in posa. Clic. «Andai dal parrucchiere e pulii casa: una gran fatica». Gli inglesi restano ammirati da occhi azzurri, sorriso, eleganza. E inoltre anche da un volteggio: «Vi faccio vedere come si fa il movimento». Però lei ci resta male, perché nella foto si notano le mani: «Troppo raggrinzite, da vecchia». A 98 anni capita. Lei ha deciso di non farlo capitare più. Niente più interviste e saluto tolto a chiunque dia informazioni. Quando vede arrivare al mare, a Ceriale, in Liguria, un giornalista, rompe l’amicizia con chi sospetta abbia fatto la spia.
Indipendente da tutto e da tutti: lavoro alla motorizzazione, buona carriera, allergica alla famiglia, tre nipoti, due morti, di cui uno ucciso dalle Br nell’81, riservata sulla vita privata. Però le sfugge: «Se mi sposavo, non avrei fatto tutto quello che volevo». Anna, una pronipote, avvocato a Pavia, dice: «Zia Carla non è appiccicosa, appena qualcuno di noi vuole andare a trovarla, dice: fatemi un favore, non venite. È autonoma, anche nei sentimenti. Ora al mare non nuota più, ma fino a qualche anno fa si appartava per un topless. È sempre stata bizzosa, vezzosa, curata. Alla moda e in perfetto ordine, anche in casa, con l’immancabile gioiello appuntato sulla camicetta». E infatti Carla ancora oggi si lamenta della sfilata azzurra a Pechino 2008. «Sembravano pecore, non atleti. Ognuno per conto suo. A far linguacce». Dice che la ginnastica attuale è bella ma pericolosa, impone troppo stress fisico alle ragazze. «In squadra la più piccola non ero io, ma Gina Giavotti, 11 anni, detta Popolo, perché abitava nelle case popolari. Ci accompagnava “mamma” Maria, la portinaia della palestra Civica che per tutto il soggiorno non ci lasciò mai sole». La medaglia d’argento l’ha persa. Ha saputo dai colleghi inglesi che quattro delle sue avversarie olandesi, ebree, sono morte in un campo di concentramento nel ’43. «Una tragedia». Il regalo del regime al ritorno: «Un paio di scarpe, un libretto al risparmio e cento lire». Gli omaggi oggi è meglio non farli: rifiutato anche un dvd proveniente da Amsterdam. «La signora Marangoni non ha nulla da dire». Imposto il silenzio a tutto il condominio. C’era una volta, appunto. Finalmente una centenaria che non ama il vintage. Capace di dire addio ad uno splendido momento.