il Fatto Quotidiano, 9 marzo 2015
Dopo il caso Stacchio, il benzinaio col fucile a pallettoni. Il Veneto armato alla ricerca di eroi
Una fucilata non è di destra e neanche di sinistra. È una fucilata e basta. Come nessuno scambierebbe una rapina a mano armata per una ragazzata. Nessuno, tranne i parenti di Albano Cassol, 41 anni, il giostraio ferito da una fucilata a una gamba e morto dissanguato mentre scappava, dopo il fallito assalto a una gioielleria di Ponte di Nanto, comunello di 3000 abitanti in provincia di Vicenza. Il giubbotto antiproiettile che indossava non l’ha protetto dalla fucilata di Graziano Stacchio, 63 anni, un benzinaio che dal chiosco vicino aveva visto tutto e ha sparato, prima in aria e poi contro Cassol e i complici. Erano in cinque, i rapinatori. Hanno sparato 7 o 8 colpi di kalashnikov. Stacchio ne ha sparato uno solo, con un fucile a pompa, mirando alle gambe. Un pallettone da caccia al cinghiale, trenta grammi di piombo che hanno centrato Cassol sopra il ginocchio, facendogli esplodere il femore. Una scheggia di osso si è conficcata nell’arteria femorale, tranciandola. Forse il rapinatore si sarebbe potuto salvare soccorrendolo subito. Forse. È certo invece che il colpo è entrato dalla parte anteriore della gamba: tecnicamente è legittima difesa, se fosse entrato da dietro sarebbe stato omicidio colposo.
Erano le 18.30 di martedì 3 febbraio e quel colpo rimbomba ancora nel Veneto, per non dire in mezza Italia, che s’ interroga se sia giusto o no armarsi contro la malavita e sparare. L’altra mezza l’ha già fatto, esasperata dai furti in casa che si trasformano in rapine. Dall’aggressività di una malavita che nel Veneto è oggettivamente aumentata e non punta più solo ai ricchi o ai benestanti, ma dà l’assalto anche alle fasce sociali più povere. Il cliché dei ladri d’un tempo prevedeva che cercassero di evitare d’imbattersi nel padrone di casa. Oggi, se succede, sono capaci di riempirlo di botte. Non sentirsi sicuri in casa propria ha trasformato le storie di microcriminalità in una questione esistenziale, di sopravvivenza. Stacchio è diventato un eroe suo malgrado. È partito l’effetto imitazione. C’è gente che spara di notte appena sente il cane abbaiare.
Chi ha colto al volo questa trasformazione e sta cercando di descriverla è una tv privata del Trevigiano, Antenna 3. Il direttore Domenico Basso si è inventato un appuntamento al giovedì sera, intitolato “Storie e paure di veneti derubati”. La trasmissione dura oltre un’ora, Basso porta in video amministratori e gente comune, alterna le loro testimonianze a collegamenti con le località più coinvolte. Si dimostra attento ed equilibrato, non spinge sull’acceleratore, ma sono le storie che porta alla luce a farlo inevitabilmente. Giovedì 5 marzo Basso aveva in studio un autotrasportatore, Lorenzo Danieli, derubato in casa 28 volte: i furti saranno anche avvenuti nel corso di vari anni, ma il totale è sbalorditivo. C’era il sindaco di Nanto, Ulisse Borotto, che raccontava della busta con due proiettili arrivata al gioielliere della fallita rapina e al benzinaio che ha sparato, con la scritta “sono per voi”. Stacchio è stato messo sotto scorta dai carabinieri, che presto saranno sostituiti – informava il sindaco Borotto – da una guarnigione dell’esercito. I militari impegnati a garantire l’ordine pubblico in un paesino di 3000 abitanti: se non è escalation questa.
Un altro amministratore pubblico, Valentino Turetta, assessore di Teolo, un comune sui Colli Euganei, raccontava che i suoi concittadini si sono organizzati in ronde di volontari che presidiano il territorio, segnalando con il cellulare movimenti di persone sospette ai carabinieri. Non di notte, alle cinque del pomeriggio. «Temere incursioni in casa in pieno giorno è la dimostrazione che l’insicurezza ormai è un problema generale», diceva Turetta.
Ma il pezzo forte della serata su Antenna 3 è stato un trevigiano di Faè di Oderzo, Sandro Magro, protagonista la notte prima di una sparatoria contro i ladri. Magro abita in una zona di case sparse in campagna: all’ennesima incursione, poco prima dell’alba, ha imbracciato il fucile e ha cominciato a sparare. I suoi vicini hanno fatto altrettanto. “Abbiamo tre fucili e una pistola”, raccontava Magro, allineando le cartucce esplose sul davanzale della finestra. “Spero che si siano resi conto con chi hanno a che fare. Ho un nervoso addosso, non vorrei trovarmi qualcuno in casa altrimenti farò anch’io come il benzinaio”. Per poi aggiungere un incredibile: “Sono riusciti a scappare, hanno vinto loro anche stavolta”. Frase completamente fuori asse, che obbligherebbe a chiedergli : volevi cacciare i ladri o fare il morto a tutti i costi?
Per capire da dove vengono questi comportamenti, bisogna sapere che il Veneto ha la più alta percentuale di case sparse di tutte le regioni italiane. In duemila anni i veneti non hanno mai avuto una dominazione straniera, a parte 15 anni dei francesi e 50 degli austriaci. Quisquilie, in un lasso di tempo così lungo. Lo ricorda spesso e l’ha fatto anche venerdì scorso il sociologo Ulderico Bernardi su Il Gazzettino: in epoca romana la proprietà della terra era affidata ai veterani, contadini e soldati. A loro spettava anche la difesa. La centuriazione dalla zona di Oderzo all’Alta Padovana, è ancora visibile nei tracciato delle strade. Nel Veneto il contadino ha sempre abitato vicino al padrone. Questo dava un alto senso di sicurezza alle popolazioni: non stai fuori nei campi se hai paura che arrivino gli ungari o i saraceni a farti la pelle. Tant’è che più si scende verso sud, più i paesi si arroccano, finché nel Meridione li trovi tutti in cima ai colli. Ci vogliono due ore di mulo per andare nei campi e altre due per tornare a casa, al sicuro. Le case sparse nel Veneto erano una sicurezza. Oggi sono un incentivo ai predatori. Una situazione secolare si è ribaltata, è diventata svantaggio, penalizzazione.
Per di più il bisogno di sicurezza è strumentalizzato dalla politica. Dopo la fallita rapina di Nanto, Luca Zaia se l’è subito presa con il governo: “Cos’altro deve ancora accadere perché Renzi si accorga che il Veneto è attanagliato dall’emergenza criminalità?”. Matteo Salvini è corso ad abbracciare il benzinaio. Giorgia Meloni ha fatto altrettanto. Alessandra Moretti ha parlato di reazione comprensibile. Gli hanno offerto di candidarsi, anche se lui non dice chi. Il sindaco di Albettone Joe Formaggio va ancora in municipio con la maglietta “Io sto con Stacchio”, oltre ad andare a letto portandosi il fucile e dichiarando che “quelli che vanno in giro a rubare e a picchiare donne di novant’anni vanno ammazzati, basta con il buonismo”. Parlano di Graziano Stacchio come di un eroe. L’unico con la testa sulle spalle è lui. “È molto meglio dei suoi supporter”, osserva Gianfranco Bettin, già prosindaco di Venezia. “Nella tragedia è una figura vera, non specula, non si sente un eroe, dice chiaro che non voleva uccidere, non è neanche sicuro che lo rifarebbe, spiega di aver obbedito all’impulso di proteggere la commessa asserragliata nella gioielleria. È un personaggio che dovrebbe far riflettere leghisti, per vent’anni al governo con la responsabilità del ministero dell’Interno. Quello che servirebbe sono politici capaci di rispondere al bisogno di sicurezza, non di cavalcarlo”.