Il Messaggero, 9 marzo 2015
Un anno dopo la sparizione nel nulla del volo Mh370 della Malaysia Airlines non c’è un solo frammento del Boeing 777, non ci sono cadaveri, non ci sono spiegazioni. C’è solo una ipotesi, che allo stesso tempo è incredibile ma anche la più verosimile: un’azione deliberata del comandante, un suicidio come già avvenuto varie volte in passato nella storia dell’aviazione civile
Un anno dopo la sparizione nel nulla del volo Mh370 della Malaysia Airlines non c’è un solo frammento del Boeing 777, non ci sono cadaveri, non ci sono spiegazioni. C’è solo una ipotesi, che allo stesso tempo è incredibile ma anche la più verosimile: un’azione deliberata del comandante, un suicidio come già avvenuto varie volte in passato nella storia dell’aviazione civile. Era l’8 marzo 2014: il volo perse i contatti con i radar 41 minuti dopo il decollo da Kuala Lumpur con 239 persone a bordo. L’ultima frase del comandante Zaharie Ahmad Shah, 53 anni, alla torre di controllo fu: «Goodnight Malaysian 370». Da allora più nulla. Rispetto alla rotta verso est che doveva portarlo a Pechino, il Boeing ha girato nella direzione opposta, facendo varie virate poco spiegabili. Un esperto pilota di Boeing 777, intervistato dalla Bbc, Simon Hardy, ha notato un particolare: «Prima di scomparire è come se dall’aereo qualcuno avesse voluto dare un ultimo, lungo ed emozionante sguardo all’isola di Penang». Ecco, il capitano Zaharie Ahmad Shah era originario dell’isola malese di Penang. Due neozelandesi, il pilota Ewan Wilson e il giornalista investigativo Geoff Taylor, hanno scritto un libro tal titolo «Goodnight Malaysian 370». Anche la loro ricostruzione ipotizza una scelta deliberata per sparire nel nulla: il comandante avrebbe depressurizzato la cabina, privando di ossigeno i passeggeri (sarebbero così morti dopo 20 minuti). Prima avrebbe chiuso fuori dalla cabina il copilota e poi seguito una rotta ben studiata, entrando e uscendo dal territorio di Malesia e Thailandia, che gli consentisse di nascondersi dai radar. Resta un’immagine a cui riesce difficile credere: il comandante chiuso nella cabina che continua a volare, per altre quattro ore fino a quando c’è carburante, con 238 cadaveri adagiati sui sedili. Infine, il comandante avrebbe fatto un ammaraggio, quando il carburante è finito. Per questo, in mancanza di un impatto violento, non sono mai stati trovati pezzi del Boeing. Inutili le ricerche durate quasi un anno, con il coinvolgimento di 27 Paesi e quasi 90 milioni di dollari spesi. La sorella difende il comandante: «Senza prove tangibili nessuno ha il diritto di incolparlo. Oltre a essere un padre affettuoso, era generoso e gentile. Amava la vita, la famiglia e il volo».
IL REPORT
Sia chiaro, siamo ancora nel territorio delle ipotesi e ha ragione la sorella quando difende la memoria del comandante del volo Mh370. Ancora: se davvero Ahmad Shah ha scelto quel modo per togliersi la vita, portando con se altre 238 persone, perché non farlo subito, una volta raggiunto l’Oceano? Perché nascondersi dai radar e organizzare la sparizione nel nulla? Ieri il report dell’indagine ufficiale ha alimentato il mistero: l’unica rivelazione imprevista è che la batteria della scatola nera era scaduta. Gli investigatori internazionali hanno analizzato lo stato psicologico dei piloti, la loro situazione finanziaria, la storia del resto dell’equipaggio, le condizioni di volo. Nessuna risposta alla domanda più importante: perché i sistemi di comunicazione furono disattivati manualmente dopo il decollo? Perché vi furono delle virate verso l’Oceano Indiano, dove – probabilmente – l’aereo è stato inghiottito? E allora si torna all’ipotesi della scelta volontaria del pilota. Il report lo difende: «Il capitano Ahmad Shad e il copilota avevano vite regolari e nessuno stress di rilievo». Ma vengono in mente le dichiarazioni di un collega e amico del comandante, rilasciate a un quotidiano malese: «In 30 anni di amicizia non c’è mai stato un solo particolare della sua vita che mi possa fare pensare a un’azione del genere. Ma lasciando da parte le emozioni, può succedere che il tuo miglior amico possa avere un segreto oscuro».