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 2015  marzo 09 Lunedì calendario

Il primo crac bancario pagato dai correntisti, in Austria. Anche clienti italiani coinvolti nel fallimento di Hypo Alpe Adria che Vienna non vuole salvare

Un crack da 8,7 miliardi, un governo che se ne lava le mani e per la prima volta i clienti di un banca europea bevono l’amaro calice del bail in, la procedura approvata nel giugno 2013 che impone a soci, creditori e correntisti di farsi carico dei debiti del proprio istituto. La sgradevole primizia spetta alla bad bank di Hypo Alpe Adria Bank. Vale a dire Heta Resolution, dove sono confluiti gli asset tossici di una banca austriaca che accusa un debito di oltre 11 miliardi. Il ministero delle Finanze di Vienna, che nel 2009 aveva nazionalizzato l’istituto spendendo in quasi 6 anni 5,5 miliardi dei contribuenti per turare la falla, ha deciso di abbandonare la banca che affonda al suo destino applicando la misura Ue che comporta perdite anche per i creditori. L’autorità di vigilanza austriaca Fma ha già disposto una moratoria dei debiti di Heta sino al 31 maggio 2016, ma la procedura comporterà robusti rovesci per i creditori ed innescherà una serie di azioni legali a catena.
LO SPETTRO DEL 1931
La sorte della Hypo Alpe Adria, una delle più grandi banche austriache, è ormai appesa ad un filo sottile. Lo stesso cancelliere austriaco ha paventato che il fallimento, previsto per il 17 marzo prossimo, rischia di far rivivere le vicende del Creditanstalt, la banca austriaca il cui crack nel maggio del 1931 scatenò la grande recessione in Europa, mentre altri analisti scorgono nella vicenda il ripetersi di un disastro finanziario dentro l’Eurozona pari a quello di Cipro dell’anno scorso. La vicenda appare come un monito per chi si illude che le ricchezze depositate in banca non corrano pericoli. È stato l’Ecofin del 26 giugno di due anni fa a rompere gli schemi tradizionali cancellando il bail out (salvataggio da fuori) a favore del bail in. In pratica: stop con i salvataggi bancari operati dallo Stato il cui onere viene scaricato indiscriminatamente sui contribuenti. D’ora in avanti a pagare per evitare il fallimento di una banca saranno gli azionisti. Per l’esattezza: in caso una banca Ue si dichiari insolvente soci, creditori e correntisti copriranno fino all’8% delle sue passività. Azionisti e sottoscrittori di bond possono perdere fino al 100% di quanto investito. Mentre sul fronte correntisti in linea di principio l’onere toccherà prima alle grandi aziende, poi ai correntisti individuali e infine alle Pmi. Con una sola certezza: i depositi sotto i 100 mila euro non verranno toccati. Il crack della banca viennese, raccontano fonti vicine al dossier, colpirà pesantemente il mercato interno ma tremano anche molti correntisti tedeschi e italiani. Mentre a quanto pare la Banca mondiale ci rimetterà 200 milioni.
Un rovescio figlio della decisione di scommettere su una banca che 15 anni fa appariva in forte ascesa. Approfittando delle garanzie pubbliche, a quel tempo AdrIa Bank cominciò ad estendere la sua raccolta verso l’estero: Italia, Germania, Macedonia, Serbia, Ungheria e Ucraina. Il suo bilancio si impennò dai 5,4 miliardi di euro del 2000 fino ai 43,3 miliardi del 2008. Ma, inevitabilmente, con la crescita della quantità si deteriorò la qualità degli interventi creditizi e nel 2009 con la crisi finanziaria Usa il governo di Vienna intervenne nazionalizzando la Hypo e comprando alla cifra simbolica di 1 euro ciascuna le sue partecipazioni. Un’operazione di salvataggio che però ha solo prolungato l’agonia senza risolvere la situazione.