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 2015  marzo 05 Giovedì calendario

Se De Magistris spiava perfino il Papa. Da pm, l’attuale sindaco di Napoli faceva intercettare Vaticano, ambasciatore americano e Quirinale per un’inchiesta finita nel nulla. Forse è il momento di una legge a riguardo

Il settimanale Panorama ci informa che nel mirino di Luigi De Magistris, quando era pm, finirono Papa Ratzinger, l’ambasciatore americano o per lo meno persone a lui vicine, il Consiglio superiore della magistratura e perfino la presidenza della Repubblica. Senza dimenticare la presidenza del Consiglio, il ministro dell’Interno, il suo vice con delega ai servizi segreti e 13 parlamentari di diverse componenti politiche.
Il titolare dell’inchiesta «Why not», che poi si concluse con un nulla di fatto e tante archiviazioni (oltre a tanti costi), non intercettava Benedetto XVI né Mel Sembler. Semplicemente, tramite il suo consulente di fiducia, quel Gioacchino Genchi che poi insieme a lui è stato condannato, acquisiva i tabulati delle conversazioni, scoprendo chi parlava con chi, quante volte e per quanto tempo, ricostruendo dunque una rete di relazioni. E grazie a questa battaglia condotta, senza timore di apparire ridicolo, contro la spectre mondiale cui appartengono il Pontefice e gli americani, Luigi De Magistris, invece di essere accompagnato alla porta, è stato fatto sindaco di Napoli e nemmeno la sentenza che lo ha riconosciuto colpevole è riuscita ad allontanarlo da Palazzo San Giacomo. Anzi, Giggino tuona e fulmina, come prima e più di prima, la sola cosa che è cambiata è dovuta al fatto che per lo meno non ha più il potere di far scattare le manette intorno ai polsi di qualcuno e dunque un passo avanti c’è stato.
La storia raccontata da Panorama, oltre a far luce su dove possa portare un eccesso di protagonismo e di complottismo, ha il pregio di illustrare le distorsioni del nostro sistema giudiziario. Non che non si sapesse come con le intercettazioni e i controlli incrociati si potesse spiare perfino il Vicario di Cristo, ma un conto è immaginarlo, un altro è scoprire che è stato fatto davvero, verificando con chi parlassero le ancelle che prestavano servizio nell’appartamento del Papa. Avesse avuto un’utenza terrena, probabilmente pure le conversazioni del Padreterno sarebbero state passate al setaccio dall’infaticabile Genchi. Tutto ciò ci è tornato alla mente mentre leggevamo i resoconti intorno alla necessità di consentire le intercettazioni per il falso in bilancio, anche nel caso in cui il reato sia di tenue gravità. Se si capita nelle mani di un Genchi o di un De Magistris, si rischia che acquisisca i tabulati di tutte le persone che lavorano in azienda, dei fornitori e dei fornitori dei fornitori. Altro che Grande fratello. Tanto vale stabilire per legge che ogni nostra conversazione è registrata e inviata per competenza alla Procura di turno affinché ne verifichi i profili di illiceità. Per lo meno non si perde tempo.
Le nostre considerazioni potranno apparire paradossali, ma in realtà il tema delle esondazioni della giustizia è argomento che dovrebbe essere affrontato senza più barriere ideologiche. Di mezzo ormai non c’è Berlusconi, che è condannato e tenuto fuori dal Parlamento da una sentenza che gli sospende il diritto di essere eletto. Di mezzo ci sono i cittadini comuni, i quali rischiano di finire nel tritacarne dei tribunali spesso senza nemmeno sapere perché e senza avere alcuna colpa, travolti da una macchina che non si ferma di fronte neppure al buon senso, alla logica, alla moderazione.
L’esempio di ciò che può capitare è fornito da un signor nessuno, un uomo di cinquant’anni, sposato e con due figli, che dopo una laurea in economia e un master ad Harvard, invece di procedere in una tranquilla carriera da manager di grandi aziende, si è visto trascinare dietro le sbarre, con l’accusa di aver frodato il fisco. Mario Rossetti, ex dirigente di Fastweb, si è fatto quattro mesi di carcere, più nove di arresti domiciliari, tre anni di processo con ogni bene sequestrato (la moglie per tirare avanti fu costretta a ricorrere agli aiuti di amici e parenti, un blocco sospeso solo parzialmente quando il figlio – scomparso nel mezzo di questa odissea giudiziaria – si ammalò) per poi essere riconosciuto innocente. Si dirà: la giustizia ha trionfato e la verità alla fine è venuta a galla. Sì, ma prima di assolverlo ha stritolato Rossetti, il quale ha percorso una via crucis fra carcere e aule di tribunali. La sua vita è stata rivoltata come un calzino (frase di un magistrato divenuta famosa ai tempi di Mani pulite) e poi sbattuta, proprio come un calzino, sulle pagine dei giornali, in pasto all’opinione pubblica. Si poteva procedere con maggior cautela, indagare, accertare e poi se del caso processare Rossetti? Sì, si poteva ma non è stato fatto. Si è preferito agire con la violenza degli arresti e ovviamente il clamore è stato grande.
Chi chiede la riforma della giustizia non vuole l’impunità. Chiede solo che sia riconosciuto il diritto costituzionale di essere trattati da innocenti fino a che non sia provato il contrario. Perché la giustizia non è uno spettacolo o un thriller. È una cosa seria. Da non lasciare nelle mani dei De Magistris.