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 2015  marzo 03 Martedì calendario

Il film dell’orrore dello Stato islamico si arricchisce ogni giorno di nuovi, terrificanti particolari. In Iraq una donna sarebbe stata costretta dai jihadisti a mangiare le carni del figlio

Il film dell’orrore dello Stato islamico si arricchisce ogni giorno di nuovi, terrificanti particolari. L’ultimo lo ha raccontato al Daily Mail Yasir Abdulla, un uomo di nazionalità inglese che ha deciso di unirsi ai peshmerga kurdi che combattono le truppe del Califfato in Iraq.
Abdulla ha raccontato un episodio raccapricciante, che ha per protagonista una kurda. Il figlio della donna era sparito, probabilmente rapito dall’Is, come di consueto avviene in quelle zone. Così lei si è armata di coraggio ed è andata al quartier generale degli uomini in nero a chiedere notizie del suo ragazzo. Giunta lì, è stata fatta sedere e le è stata imbandita la tavola: una tazza di the, riso e una pentola di carne. La donna ha pensato che i combattenti dello Stato islamico cercassero di mostrarsi gentili. Ma la realtà, secondo Abdulla, era molto diversa: «Avevano ucciso suoi figlio e l’avevano tagliato a pezzi. Quando la donna ha finito il pasto e ha chiesto di vedere il suo ragazzo, loro sono scoppiati a ridere e le hanno detto: “Lo hai appena mangiato”».
Dunque nulla è risparmiato, nemmeno il cannibalismo. Certo, non è dato sapere se la storia sia vera. È probabile che gli uomini dell’Is stessero mentendo: che i loro nemici li credano spietati e persino antropofagi è solo uno strumento in più di propaganda. Tuttavia, nella zona franca del Califfato, in cui il tempo è tornato indietro di millenni, si ha notizia – verificata – di episodi simili. La storia più inquientante riguarda Abu Sakkar, già comandante della brigata Farouq, affiliata al Free Syrian Army. Per inciso, gli uomini del Libero esercito, secondo la vulgata occidentale, sarebbero i «laici e moderati» che si oppongono ad Assad. Quelli, per capirsi, che le due volontarie italiane Greta e Vanessa, rapite in Siria, volevano aiutare. In realtà Sakkar è musulmano sunnita, proprio come i combattenti di Is. Semplicemente, faceva parte di una fazione diversa, giocava la propria partita nell’inferno siriano. In un video circolato nel 2013, di cui è stata accertata la veridicità, lo si vede addentare il cuore (o forse un polmone, o entrambi) di un nemico ucciso: una totale immersione nel più ancestrale e feroce dei rituali di guerra.
Se anche i miliziani del Califfato si dilettassero in pratiche simili non sarebbe una grande sorpresa. Ma che abbiano interesse a dipingersi come divoratori di carne umana è un elemento in più a sostegno della tesi secondo cui il modo migliore per analizzarli è attraverso le categorie dei film e della letteratura dell’orrore. Dopo tutto, loro stessi per primi hanno scelto l’horror come veicolo di auto presentazione.
E la figura più adatta per descriverli è quella dello zombie. Per rendersene conto basta leggere il reportage di Alex Perry di Newsweek su Boko Haram, quando descrive le orde di ragazzini (e bambini) che avanzano lenti, come animati da una volontà esterna e malvagia, con il mitra in mano, e continuano la loro marcia di morte anche se crivellati dai colpi dei nemici. Non è un caso se Abubakar Shakeu, il leader dei jihadisti nigeriani affiliati al Califfato, è stato dato per morto due o tre volte (una con tanto di foto e video del cadavere) e poi si è ripresentato vivo e assetato di sangue.
L’origine del mito dello zombie va ricercata fra gli schiavi di Haiti, trasportati a forza dall’Africa occidentale. Il loro maggior terrore era quello di rimanere schiavi per l’eternità, anche dopo la morte (che rappresentava il ritorno in patria, e la pace). Questo sono gli zombie: schiavi, animati da uno stregone (bokor, nella mitologia haitiana) che li sottomette al suo volere. Tutti uguali, deformi e mostruosi. Non ci vuole molto per assimilarli agli uomini di al-Baghdadi, una folla oscura che avanza (spesso piena di droghe) per volontà del Califfo. Uomini in nero senza volto, che spesso giungono in Siria e Iraq dall’estero: muoiono per le loro famiglie e risorgono come aguzzini islamisti. L’antropofagia è solo l’orrenda ciliegina. Sono zombie anche i combattenti che, dal Califfato, rientrano in Occidente. Restano in sonno, come morti – come i computer che appunto si definiscono «zombie» – e poi si risvegliano quando sentono un proclama, una voce oscura proveniente da qualche agitatore dello Stato islamico. Allora colpiscono, come a Parigi o in Danimarca. Sono assetati di sangue, e che il cannibalismo sia metaforico o reale, la sostanza non cambia.