Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  marzo 03 Martedì calendario

Dal Libano alle isole Samoa, ecco perché depositare i soldi in questi paradisi fiscali per non pagare le tasse può essere pericoloso: «Non perché ti becchino, ma perché l’instabilità politica, o geopolitica, può repentinamente mutare gli scenari e farti perdere tutti i soldi, come forse meriteresti pure»

Gli esperti del settore lo chiamano “rischio ambientale”. Rischio crescente per gli evasori impenitenti. Perché i paradisi fiscali nel mondo ci sono ancora ma depositare lì (lontanissimo ormai dall’Europa) i soldi per non pagare le tasse può diventare davvero pericoloso. Non perché ti becchino, ma perché l’instabilità politica, o geopolitica, può repentinamente mutare gli scenari e farti perdere tutti i soldi, come forse meriteresti pure. Perché un conto era depositare il proprio gruzzolo esentasse, non si sa come racimolato, in una banca ticinese o nel ridente Principato monegasco a due passi da casa; un conto è farlo in Libano in un Medio Oriente ritornato esplosivo, o in un altro paese di qualche isola caraibica rimasto, per ovvi motivi, nella black list internazionale. Qui si corre il rischio ambientale appunto. L’epoca dell’evasione oltre confine, con tutti i comfort, a pochi chilometri dalla propria residenza e anche per questo un po’ autoassolutoria per gli evasori medesimi, sembra finita. Chi evade deve mettere in conto un rischio maggiore, superiore forse a quello di dovere pagare le tasse: perdere tutto.
L’offensiva del G20 e dell’Ocse che ha portato alla diffusione degli accordi bilaterali e multilaterali tra i governi contro i paradisi fiscali, sembra aver cambiato in profondità lo scenario e così le traiettorie dell’evasione globale non sono più le stesse. Miliardi di risorse finanziarie (c’è chi ha calcolato di un flusso complessivo superiore ai 30 mila miliardi di cui circa 200 quelli italiani) o emergeranno oppure dovranno cambiare residenza in un percorso ad ostacoli del tutto inedito, di fronte a quello che comincia a raffigurarsi come un vero accerchiamento nei confronti degli evasori. Strade bloccate in Svizzera, nel Liechtenstein e ora pure a Montecarlo, per gli evasori italiani ai quali non resta che l’evasione extracomunitaria tendenzialmente esotica. Strade tortuose, poi, quelle che conducono a Singapore oppure nelle Filippine, tra intese e impegni internazionali a scadenze diversificate.
Il Sole 2-4 Ore nei giorni scorsi ha provato a raffigurare i vari tragitti da un paese all’altro alla ricerca, nei prossimi anni, di condizioni favorevoli. Dunque bisogna abbandonare la Svizzera perché Berna ha cancellato il segreto bancario. Si può arrivare a Singapore, con un rischio ambientale piuttosto basso, ma sapendo che si può stare tranquilli solo fino alla fine di quest’anno. Dal 2016 infatti scattano anche a Singapore gli scambi di informazioni previsti dal Crs (Common reporting standard) e un evasore sarebbe facilmente individuato. Bene, si può andare negli Emirati Arabi Uniti, allora, paese a basso rischio ambientale. Ma anche questo è un paradiso fiscale in scadenza: gli Emirati hanno sottoscritto un accordo con gli Stati Uniti e dal 2018, con i dati relativi al 2017, consentiranno gli scambi informativi. Insomma la meta va cambiata dopo il 2016. Per gli italiani le Filippine possono essere una soluzione, hanno un basso rischio ambientale e poi hanno sottoscritto un accordo di cooperazione solo con gli Stati Uniti. Prossima, però, potrebbe essere l’adesione a un’intesa multilaterale nel 2017 e allora bisognerà ricambiare. C’è Portorico, poco collaborativo sul fronte dell’evasione, ma soprattutto c’è l’Ecuador che non ha vincoli perché non ha sottoscritto alcun accordo. Il paese latino americano però è considerato ad altissimo rischio ambientale. Liberi (gli evasori) dagli accordi internazionali ma costretti a fare i conti con l’incertezza ambientale interna.
Certo ci può anche essere un percorso alternativo. Provare ad andare a Panama (dalla Svizzera o da Monaco) sempre che da quelle parti non si arrivi in tempi rapidi all’adesione ad un accordo di cooperazione fiscale. E allora non resterebbe che l’Oman, con rischio politico basso ma con alta probabilità che aderisca ad un’intesa di collaborazione. Alla fine si può arrivare in Libano. Oppure, sì, in Liberia o ad Anguilla fino a Samoa. Ma questa non è più la vita tranquilla dell’evasore “della porta accanto”. Anche tra gli evasori è scattata una sorta di selezione darwiniana. E non tutti sopravviveranno.